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domenica 27 novembre 2022
di Claudio Fontanini
FOREVER YOUNG
Lo struggente e vitale inno al mestiere dell’attore di Valeria Bruni Tedeschi
Una scuola di teatro fuori dagli schemi e nella quale arte e vita si confondono fa da sfondo al settimo lungometraggio da regista di Valeria Bruni Tedeschi che gioca anche stavolta, con successo, le carte dell’autobiografia familiare. Vitalissimo e struggente, partecipato e doloroso, Forever Young è un inno al mestiere dell’attore
Una scuola di teatro fuori dagli schemi e nella quale arte e vita si confondono fa da sfondo al settimo lungometraggio da regista di Valeria Bruni Tedeschi che gioca anche stavolta, con successo, le carte dell’autobiografia familiare. 

Vitalissimo e struggente, partecipato e doloroso, Forever Young (il titolo originale Les Amandiers si rifà al nome della scuola diretta da Patrice Chéreau) è un inno al mestiere dell’attore, alla gioia e alla responsabilità del dover recitare (Non è un passatempo, andare in scena significa rischiare dice Chéreau ad un’allieva) e al superare di slancio i confini di vite ordinarie anche a costo di rischiare di morire in solitudine. 

Siamo a Nanterre, nel 1987, con gli aspiranti attori chiamati a provini e confessioni davanti al direttore della scuola Pierre Romans (Micha Lescot) che esamina e dovrà selezionarne solo 12 tra i 40 pretendenti. Storie e ambizioni diverse (c’è chi recita per il successo, chi per far contenta la madre, chi per tornare indietro dall’orlo del baratro esistenziale e chi per esorcizzare il tempo che passa) unite dal filo rosso della comunanza artistica che si fa vita vera.  

Come si vede nella tragicomica sequenza dove l’Aids fa capolino e si scopre che tutti hanno fatto sesso con tutti. Con verità e finzione, eros e thanatos a darsi la mano un gioco evocativo e appassionato condotto con sapienza stilistica dalla Tedeschi che stavolta non appare neppure in un fotogramma. 

Ed ecco trasferte newyorkesi (Attraverso queste porte invitiamo il talento ad entrare si legge allo Strasberg Institute), relazioni pericolose (la droga circola anche tra chi insegna), affascinanti velleitari, sacrifici artistici (Hai mai visto un attore allattare? dice la neo mamma mentre si toglie il latte dal seno), una colonna sonora diegetica che mescola classica, pop e rock’ ‘n roll (Guarda che luna di Buscaglione durante un’overdose) e la messa in scena del Platonov di Cechov (Non posso essere democratico dice Louis Garrell nei panni di Chéreau mentre assegna le parti). 

Col film della Tedeschi- passato in concorso all’ultimo Festival di Cannes e magnificamente interpretato da un cast di attori in perfetta sintonia artistica- che fa del teatro un luogo di crescita esistenziale e finendo per far rimpiangere un tempo in cui la tecnologia non imperava e al posto dello schermo di un display si leggevano ancora libri e si faceva cultura. L’arte ci salverà. E film come questo andrebbero proiettati nelle scuole. Non solo in quelle di recitazione.       


In sala dal 1 dicembre distribuito da Lucky Red   


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