Un titolo bellissimo, un romanzo all’origine e un confronto generazionale che diventa bilancio esistenziale e passaggio di testimone. Di eredità culturali più che materiali. La mia ombra è tua di Eugenio Cappuccio (dall’omonimo romanzo di Edoardo Nesi che a sua volta cita il Malcom Lowry di Sotto il vulcano) è uno strano film dall’andamento imprevedibile, un po’ come il viaggio on the road che affrontano attraverso l’Italia i due protagonisti della storia.
Si comincia, sulla scia del Sorpasso di Dino Risi, con un burbero scrittore sessantenne (Marco Giallini) in adorata reclusione nella campagna toscana che vive di rendita sulla scia del suo unico successo letterario (I lupi dentro) scritto 25 anni prima.
C’è chi ne reclama il sequel (su tutte una influencer con 7 milioni di followers) e così la casa editrice manda sulle sue tracce un venticinquenne timido e appena laureato in Lettere Antiche (Giuseppe Maggio) che sbarca il lunario senza prospettive dando ripetizioni.
Accolto a colpi di fucile a salve dal padrone di casa, che odia internet, sniffa cocaina ed è allergico all’autorità, quel giovane impacciato, con l’apparecchio ai denti e la camicia a maniche corte del papà defunto, scoprirà che forse quell’uomo che detesta non è proprio quello che sembra e rappresenta.
Diretti a Milano alla fiera mercato degli anni ’80 e ‘90 su una vecchia Jeep Usa del ’79, Vittorio ed Emiliano detto Zapata passeranno in rassegna stazioni di rifornimento e disco lupanari di periferia, trattorie emiliane e alberghi di lusso mentre i chilometri aumentano e la distanza emotiva diminuisce.
E tra crisi di panico e tatuaggi, note dei Clash e botte di nostalgia (E’ un lusso ma prima si stava meglio…), bidet della speranza (lo scrittore deve rincontrare un vecchio amore giovanile, Isabella Ferrari, dopo 38 anni) e divagazioni letterarie (I poeti? Sono i veri padroni del mondo, ogni tanto ne nascono ancora afferma Giallini) forse la meta finale non è il successo ma la convinzione che il senso della vita è tutto racchiuso in quel bicchiere di latte che Mastroianni porta al gattino mentre Anita Ekberg si tuffa nella fontana di Trevi ne La dolce vita. Perché forse si scrive un solo romanzo, si vive una vita sola e si ama una donna sola.
Commedia acida piena di sottotesti e persino rivoluzionaria (La privacy è morta. Cosa la sostituirà? La rivolta dice lo scrittore al suo assistente) nel senso di non accettare il potere ed il pensiero della massa, La mia ombra è tua, appena presentato al Taormina Film Fest, invita a riappropriarsi dell’autonomia del pensiero e a recuperare un passato dove comunicare significava sentire e vivere non apparire (Avanti? Dove e verso cosa se davanti non c’è nulla dice ancora Giallini con sigaretta accesa sempre in bocca).
Dialettico e non a tesi, il film di Cappuccio (script a sei mani con con Nesi e Laura Paolucci) esalta l’arte dell’incontro e della possibilità in un riuscito girotondo umano, politico e sentimentale che offre l’occasione per un confronto irrinunciabile. Con gli altri e con noi stessi.
In sala dal 29 giugno distribuito da 01