E’ l’opera rock tra le più amate perché mescola la voglia di spiritualità alla sete di giustizia, e avvicina il messaggio evangelico all’uomo moderno. E’ Jesus Christ Superstar il musical da cui è stato tratto il film di Norman Jewison nel 1973, che torna a Roma con il suo protagonista storico - Ted Neeley nella tunica di Gesù Cristo - affiancato da Frankie hi-nrg mc nei panni di Erode stavolta in versione hip hop. "Un musical che non smette di emozionare" scrive nelle note di regia Massimo Romeo Piparo, che resta fedele all’ambientazione scenica essenziale dell’opera rock, con il deserto punteggiato solo da alcuni elementi architettonici statici e animati dalla sola potenza della musica.
Siamo negli anni Settanta "l’epoca più giusta per la rappresentazione - prosegue Piparo -. Eppure prima di Jesus Christ Superstar non era così. Ecco perché l’Opera di Webber e Rice è entrata nel Mito.
E quel Mito non va assolutamente dissacrato, re-interpretato, elaborato: va rispettato, omaggiato, celebrato. Quel Mito oggi si fa realtà attraverso Ted Neeley: una lezione di vita e di professionalità per tutti noi artisti italiani".
Quarant’anni di fedeltà alla tunica del Nazareno non sono pochi. L’inossidabile Ted Neeley, la cui ugola - negli acuti richiesti dai brani culto di cui è interprete - continua a far emozionare e a dare i brividi, continua a vestirsi di umiltà e rispetto per un Personaggio storico, oltre che spirituale (Gesù), a cui l’attore cantante e batterista statunitense sa di dovere molto. Forse tutto.
"La sua semplicità e al contempo la sua forza smisurata, la sua contagiosa passione sono esempio vivido della statura che un Artista deve avere per diventare Mito. Grazie a Ted ripercorro 20 anni di studio dedicato a questa Opera e metto a segno la mia versione più matura e compiuta di questo capolavoro del Teatro musicale".
Da quel lontano 1994, quando quest’avventura artistica, umana e sociale ha avuto inizio, "ogni sera si rinnova il magico rito che ci restituisce l’idea di un mito eterno. Il suo confronto con la stessa ragione di essere: da un lato il popolo, dall’altro chi lo governa. Tutti al contempo artefici e vittime di un tradimento commesso per amore da chi "vive per la morte" e il cui ruolo si compirà solo quando, abbandonata la veste istituzionale di custode di un sodalizio di vita, offrirà e procurerà per sé la morte".
Non cercate di trovare segni in questa messinscena, né confronti con epoche, fasi storiche, mette in chiaro il regista "c’è l’eterno, intramontabile senso di angoscia per un’umanità che da sempre elegge i propri messia per poi mandarli al martirio, crea i propri miti per poi distruggerli, professa la propria ideologia per prontamente rinnegarla".
Una Storia che sembrerebbe destinata a ripetersi all’infinito, come un disco che suona sempre lo stesso refrain. Eppure una luce di speranza c’è. Ed è custodita in quella grande croce luminosa, simbolo di passione ma anche di rinascita, di Passione e di redenzione che abbaglia gli spettatori in sala a fine rappresentazione e che spinge a credere ancora - e ancora e sempre - nella forza del dialogo e dell’Amore incondizionato.