A sei anni da Mia madre, Nanni Moretti si cimenta per la prima volta in carriera con un soggetto non originale di cui firma la sceneggiatura con Valia Santella e Federica Pontremoli. In Tre piani, tratto dall’omonimo romanzo di Eshkol Nevo (Neri Pozza editore) e passato in concorso all’ultimo Festival di Cannes si affrontano temi universali (la colpa, le conseguenze delle nostre scelte, la giustizia, la responsabilità di essere genitori) con un rigore e una gravità mai così assoluti nel cinema dell’autore romano.
Senza i guizzi ironici ed estemporanei e le fulminee invettive che lo hanno sempre contraddistinto le sue opere e, soprattutto, il suo personaggio, Moretti mette in scena stavolta un girotondo di anime in pena costrette a confrontarsi con le proprie ossessioni e fragilità.
Nell’arco temporale di 10 anni e incrociando le storie che nel libro- ambientato a Tel Aviv- restano separate e dal finale interrotto nel momento più alto della crisi, ecco le vicende di tre famiglie di una signorile palazzina romana. Al primo piano vivono Lucio (Riccardo Scamarcio) e Sara (Elena Lietti) con la loro bambina di 7 anni alla quale ogni tanto fanno da babysitter Giovanna (Anna Bonaiuto) e Renato (Paolo Graziosi). La scomparsa della bimba con l’uomo, che soffre di amnesie, scatenerà la rabbia del genitore convintosi che abbia potuto abusare della figlia nonostante polizia e psicologi non lo ritengano probabile.
Al secondo piano ecco Monica (Alba Rohrwacher) alle prese con la prima esperienza di maternità da affrontare in solitaria. Il marito (Adriano Giannini) è un ingegnere spesso lontano per mesi e la paura di poter diventare un giorno come la madre, ricoverata per disturbi psichici, conduce la donna sulla strada della follia.
Infine ecco una coppia di giudici (Nanni Moretti e Margherita Buy) in guerra per l’atteggiamento da prendere nei confronti del figlio (Alessandro Sperduti) che, ubriaco, ha investito e ucciso una donna sotto casa.
Aperto da una lunga inquadratura a camera fissa sulla facciata del palazzo che sembra quasi una dichiarazione d’intenti per stile e contenuti, il nuovo film di Moretti è un invito ad aprirsi al mondo e al confronto con gli altri (la milonga collettiva in sottofinale, quella sì di matrice morettiana doc) che passa per 120’ schematici e meccanici dai quali traspaiono solo qua e là barlumi di autentica emozione (una vecchia segreteria telefonica con la quale parlare, un barattolo di miele come tardiva richiesta di perdono).
Film di sguardi e silenzi più che di dialoghi spesso infarciti di inutili ripetizioni, Tre piani è un film monolitico nella recitazione che a forza di asciugare tratti e sentimenti sembra persino innaturale.
E così tra uomini guasti e attenuanti da rifiutare, fratelli in fuga e primi bagni a un neonato (bel duetto Rohrwacher-Buy), processi in salotto a 8 anni e tradimenti immaginati e non, la tredicista regia di Moretti sembra la pagina più sbiadita della sua solidissima filmografia.
Il tono austero e una classicità dell’insieme più imposta che necessaria finiscono per soffocare le ambizioni e i nobili intenti di un film incapace per lunghi tratti di trasformare le idee in realtà cinematografica. La buona notizia è che Moretti è già al lavoro per il suo prossimo lavoro. Torna a casa Nanni.
In sala dal 23 settembre distribuito da 01