Un canto d’addio alla vita, uno struggente racconto di tolleranza, un inno alla famiglia acquisita e al valore dell’inclusione. Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Romain Gary (uno dei classici del secondo novecento) già portato sul grande schermo nel 1977 da Moshé Mizrahi con una meravigliosa Simon Signoret (Oscar per il miglior film straniero), La vita davanti a sé torna a riunire Edoardo Ponti e Sophia Loren (sua madre nella vita) dopo Cuori estranei (l’esordio del regista del 2002) e La voce umana, il mediometraggio del 2014.
Misurato, commovente e partecipato il film racconta la parabola esistenziale di Madame Rosa (una Sophia Loren capace di trasfigurare a 86 anni il mito in quotidianità), una ex prostituta ebrea scampata all’Olocausto che vive dando asilo a bambini in difficoltà. Sarà l’arrivo di uno sfacciato dodicenne di origini senegalesi (lo strepitoso Ibrahima Gueye alla prima prova davanti alla macchina da presa) a metterla di fronte allo specchio di una vita vissuta nell’orrore e a farle rischiarare, almeno per un po’, le ombre di quel passato impossibile da cancellare.
Con quel piccolo e irriverente ladruncolo di strada allergico alle regole e dedito persino allo spaccio (lode a Massimiliano Rossi, signore della droga) capace di apprendere alla fine la lezione di un’umanità sopita ma non sconfitta.
Tra apparizioni e madri in fuga, rifugi sotterranei e trans dal cuore d’oro (Abril Zamora), dottori premurosi (Renato Carpentieri), venditori gentili (l’ottimo Babak Karimi) e pagine di libri come comandamenti (I miserabili di Victor Hugo) Edoardo Ponti trasporta l’azione dalla Parigi degli anni ’70 alla Bari contemporanea e multietnica.
Sceneggiato dal regista con Ugo Chiti, La vita davanti a sé ha il merito di non indulgere e speculare mai sul dolore scegliendo saggiamente la strada della sobrietà. Diversi per etnia, età e religione quell’anziana signora in congedo dal mondo (E’ proprio quando non ci credi più che succedono le cose belle) e quel bambino in cerca di protezione finiranno così per essere l’altra faccia di una stessa medaglia, quella dell’innato e disperato bisogno di amore.
Sui titoli di coda le note di Io sì, il bel brano di Laura Pausini che accentua l’emozione finale.
In programmazione su Netflix dal 13 novembre