Gli anni di piombo raccontati- o meglio, evocati- ad altezza bambino, un titolo che invoca più che annunciare e un’autobiografia che aspira alla favola. Presentato in concorso a Venezia dove Pierfrancesco Favino si è aggiudicato la Coppa Volpi (troppa grazia), Padrenostro di Claudio Noce si ispira alla vera vicenda del padre del regista.
Un dirigente dell’antiterrorismo laziale che nel 1976 sopravvisse miracolosamente ad un attentato dei Nuclei armati proletari che spararano 100 colpi di mitra sotto la sua abitazione. Morirono l’autista del vice questore (Prisco Palumbo) e un membro del commando (Martino Zicchitella) ma non Alfonso Noce costretto a convivere da quel momento con paura e angoscia repressa.
Parte da qui Padrenostro che affida all’onnipresente Valerio (l’ottimo Matteo Garaci), 10 anni e il figlio più grande della coppia (la madre è Barbara Ronchi) lo sguardo di un film che finisce per disperdere l’ottimo potenziale narrativo.
Ed ecco quel bambino biondo alle prese con la visita medica a scuola (gli verrà riscontrato un piccolo soffio al cuore) e la passione per la Lazio (sembra un piccolo Re Cecconi) trascorrere le sue giornate in solitudine (la sorellina ha solo 2 anni) e in compagnia di un amico immaginario al quale porta anche da mangiare.
Fino a quella terribile mattinata, annunciata dal segnale orario del Gr e alla quale assisterà in segreto mentre la madre si catapulta urlante in strada. Come superare il trauma di quegli avvenimenti? Perché Valerio a dispetto del parere del padre monolite (E’ troppo piccolo per capire, vedrai che si dimenticherà dice alla moglie) soffre in silenzio e rivede quella sparatoria ogni giorno. Fino all’arrivo, improvviso e misterioso, di un ragazzo più grande di lui, Christian (Francesco Gheghi) che lo trascinerà in una sorta di paese dei balocchi ai confini tra immaginazione e realtà e dove, forse, sarà possibile crescere e metabolizzare quel maledetto giorno del ’76.
Peccato che Noce (del quale ricordiamo ancora il magnifico esordio del 2009, Good morning Aman) alle prese con un soggetto così intimo e sentito non trovi sempre la strada giusta per i binari di un film che ondeggia pericolosamente- e non sempre con coerenza- tra realismo e fantastico, vero e possibile.
Con l’aggiunta di un’enfasi lirica non sempre necessaria e un abuso di ralenty e primi piani che finiscono per ingolfare questo anomalo romanzo di formazione. Tra palloni firmati Chinaglia in regalo e risse scolastiche (Tuo padre è un infame, non un eroe lo insulta un compagno di classe), giuramenti di sangue e fantasmi in soffitta, stregoni calabri e abbracci fugaci, Padrenostro emoziona (i momenti intimi padre/figlio in riva al mare o davanti allo specchio del bagno con l’allume per le ferite da rasoio) ed azzarda (Buonanotte fiorellino di De Gregori durante la sparatoria), spiazza e conquista sulla scia del modello inarrivato del Salavtores di Io non ho paura.
Un film che doveva respirare con la pancia (come insegna Favino al figlio in una bellissima scena) e lavorare maggiormente in sottrazione invece di calcare spesso toni e situazioni dalle quali peraltro sono esclusi il contesto storico e le dinamiche sociopolitiche affidate solo ai dettagli (quelle telefonate che annunciano sempre cattive notizie).
Se ne esce perplessi (e il finale consolatorio e posticcio non aiuta) con la sensazione di un’occasione mancata nonostante la nobiltà degli intenti. Misurato e austero Favino che conferma il suo talento. Peccato che il protagonista del film sia il piccolo Matteo Garaci e così l’ennesimo premio all’attore romano suona stavolta più come mancanza di ruoli forti maschili in una Mostra dominata dai personaggi femminili che un riconoscimento al valore dell’interpretazione.
In sala dal 24 settembre distribuito da Vision