Lotta di classe e di cuore, pubblico e privato, anima e corpo. Per la prima volta in concorso a Venezia ma alla terza partecipazione alla Mostra (premio Controcampo nel 2009 con Cosmonauta, il suo film d’esordio e premio Orizzonti col magnifico Nico,1988 tre anni fa) Susanna Nicchiarelli con Miss Marx firma un pregevole film d’epoca in salsa rock sulla scia del modernissimo Marie Antoinette del 2006 di Sofia Coppola.
Un’opera, quella della regista romana, che punta tutto sull’apparente incongruenza di una donna divisa tra ambizioni politiche e sociali e umanissime passioni che la condurranno all’inferno. Raccontando la storia- peraltro poco conosciuta- della figlia minore dell’autore del Capitale, la Nicchiarelli intreccia sapientemente passato e presente in un gioco di specchi che finisce per aprire un abisso sulla complessità dell’essere umano più che parlare di conquiste e diritti.
Brillante, colta, libera e appassionata, Eleanor (la magnifica Romola Garai in odore di Coppa Volpi) fu tra le prime donne ad avvicinare i temi del femminismo e del socialismo partecipando alle lotte operaie, combattendo per i diritti delle donne e l’abolizione del lavoro minorile. Fino all’incontro fatale, nel 1883, con Edward Aveling (Patrick Kennedy), socialista, commediografo e attore squattrinato già sposato, che la cambierà per sempre accompagnandola verso un tragico destino.
Forte nelle convinzioni e fragile nei sentimenti, Eleanor (anche se tutti la chiamavano Tussy), la prima a tradurre in inglese Madame Bovary e le opere di Ibsen, sarà incapace di staccare la spina ad un amore che la renderà schiava contro la sua volontà.
Tra vecchie lettere d’amore nascoste nei libri paterni e viaggi in America col Partito Socialista tedesco (con Edward che addebita sulle note spese anche i mazzi di fiori), discorsi alla folla e dialoghi in macchina che abbattono la quarta parete, tirate di oppio, amiche attiviste e sorelle morte o ossessionate dai bambini, Miss Marx appassiona e coinvolge distaccandosi opportunamente da tutti gli abusati cliché sui film ottocenteschi.
Ed ecco l’uso straniante delle magnifiche musiche a contrasto dei Downton Boys- un gruppo punk rock americano contemporaneo- a fare da ponte temporale col nostro presente mentre quelle classiche di Chopin e Liszt, usate a commento romantico ma anche ironico delle vicende sentimentali, sono rifatte dai Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, gruppo col quale la Nucchiarelli lavora sin da Cosmonauta.
Con la bellissima fotografia di Crystel Fournier, gli accuratissimi costumi (di Massimo Cantini Parrini) e le scenografie en plein air (di Alessandro Vannucci) che guardano allo spirito degli Impressionisti per tocco e gusto. E quei sorprendenti inserti d’epoca in bianco e nero che si miscelano a meraviglia alle immagini a colori del film in un impasto di rara efficacia e solidità strutturale.
Per un ritratto intimo di Karl Marx non proprio esemplare (Mio padre voleva tutto per me tranne la mia libertà dice Eleanor) e un gioco di società che diventa un confessionale familiare nel sottofinale (è tutto vero, la Nicchiarelli lo ha scoperto leggendo libri e manoscritti di casa Marx) sintetizzando a colpi di risposte e motti un clima e un’epoca. Perchè essere o credere di essere felici non è proprio lo stesso.
In sala dal 17 settembre distribuito da 01