Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Sulla scia del famoso libro di Raymond Carver, Daniele Luchetti apre- fuori concorso- la 77ma Mostra del cinema di Venezia con Lacci, uno dei suoi film migliori dai tempi di Mio fratello è figlio unico.
Due coppie di attori (Luigi Lo Cascio e Alba Rohrwacher filmati nella Napoli dei primi anni ’80 e Silvio Orlando e Laura Morante che li sostituiscono trent’anni dopo) per mettere in scena una vera e propria anatomia di un matrimonio che diventa giallo sentimentale nell’ultima parte, la più convincente.
Ed ecco Aldo e Vanda pedinati da Luchetti in quello che diventerà un simulacro di ricordi scoloriti e passioni infrante, tradimenti annunciati e rimorsi incancellabili. Lui è un giornalista in rampa di lancio che lavora in Rai a Roma in una trasmissione culturale, lei una maestra precaria alle prese con la crescita dei due figli.
Il nuovo amore di Aldo- Linda Caridi nei panni di una collega più giovane che lavora con lui- metterà fine- o forse no- a 12 anni di matrimonio vissuti tra reticenze e ripicche. Dimenticare o ricordare? Passività come forza o debolezza? Stare qua o stare là? Perché in fondo, come diceva Jung, il tradimento conduce alla nostra coscienza e il senso dei nostri peccati è che dobbiamo assumerceli tutti.
E intanto- tra tentativi di suicidio e vecchie foto da nascondere, affidamenti esclusivi e gatti da accudire, confessioni a cuore aperto e assunzioni di responsablità- i figli crescono incamerando rabbia e voglia di vendetta per quello stanco ménage che genera mostri.
Con Luchetti che dirige a meraviglia gli attori senza mai forzare la mano o, peggio, scadendo nel melò.
Perché qui non ci sono buoni o cattivi, vittime o carnefici ma soltanto un gruppetto di anime in pena alle prese con i retaggi di un passato da cancellare e le aspirazioni verso un futuro di libertà. Non è solo una questione d’amore ma di lealtà dice Alba Rohrwacher a Lo Cascio invocando il patto matrimoniale stabilito per contratto quando lui le annuncia il tradimento.
Ma anche dietro gli sguardi silenziosi dei bambini (bellissimo il litigio in strada visto in soggettiva dalla figlia dai vetri dell’auto) si annunciano le crepe di un microcosmo destinato al fallimento perché incapace di essere quello che si vuole piuttosto che quello che capita. Con una donna morta nella sostanza e un uomo banale che ha fatto carriera dicendo cose acute.
Un film di dubbi e rimorsi (E’ difficile soffrire in modo simpatico dice Lo Cascio) che viaggia avanti e indietro nel tempo puntando tutto sulla forza del sottotesto e di dialoghi affilati e mai banali. Dietro c’è l’omonimo libro di Domenico Starnone (autore anche della sceneggiatura con Luchetti e Francesco Piccolo) che trova nuovo vigore e portata sullo schermo.
Coi lacci del titoli che somigliano più a cappi al cuore che a legami indissolubili. Qualcuno contesterà la poca verosimiglianza fisica tra i quattro attori ma è un difetto veniale in un film concentrato e ispirato che mette allo specchio il nostro vissuto invitando alla sincerità assoluta e alla presa di coscienza. Perché il fallimento di uno non diventi quello di tutti.
In sala dal 1 Ottobre distribuito da 01