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martedì 18 febbraio 2020
di Cristina Giovannini
L’Hotel degli amori smarriti
Una vecchia relazioni tra fantasmi e bilanci esistenziali
Un matrimonio ormai appiattito sull’onda lunga dei suoi vent’anni, tradimenti che  vengono alla luce, riflessioni e interrogativi, stupori e rimpianti a popolare una lunga notte di una coppia come tante.

Diretto da Christophe Honoré, scrittore di romanzi, regista teatrale e sceneggiatore L’Hotel degli amori smarriti, presentato a Cannes 2019, è una lunga (ed interminabile malgrado la breve durata di 90 minuti) dissertazione sull’amore passato e presente con protagonisti Chiara Mastroianni e Benjamin Biolay che dopo essere stati marito e moglie nella vita reale, si ritrovano fianco a fianco anche nella finzione.

Richard e Maria sono una coppia sposata da molti anni, in cui il fuoco della passione è ormai estinto. Tuttavia Richard ama ancora Maria ed è per lui una tragedia quando scopre, casualmente, che la donna ha un’amante: l’ultimo, a quanto pare, di una lunga serie.
Maria lascia il tetto coniugale e si trasferisce nell’hotel di fronte dal quale può avere una vista privilegiata sul suo appartamento e sulle reazioni di Richard.
Durante la notte riceve una serie di visite, tutte immaginarie, che dovranno in qualche modo aiutarla a schiarirsi le idee sul suo futuro.  

In un continuo gioco di materializzazioni dei ricordi la protagonista si ritrova faccia a faccia con Richard da giovane, all’epoca del loro innamoramento e con Irene, amore giovanile di  Richard, che alla fine le ha preferito Maria. A questi si aggiungono tutti gli uomini con cui, nel corso degli anni, Maria ha tradito il marito.

Un bailamme di persone e di esperienze pregresse che vogliono essere una sorta di riflessione attenta sul passato, facendo rivivere sensazioni ed emozioni smarrite, ma anche sul presente, sull’oggi e su come il tempo ha cambiato prospettive, punti di vista esistenziali, priorità.
"Perché non ti amo più?" si chiede la donna.
E per rispondere a una domanda, solo all’apparenza semplice,  il regista si inerpica sulla strada della più totale autoreferenzialità dando vita a un film cerebrale, cervellotico, verboso, logorroico, sia pure a tratti stemperato dall’ironia, infarcito di dissertazioni banali del tipo “Non possiamo accettare che tutta la nostra vita ruoti intorno a una sola persona” (e così il tradimento trova una sua ragion d’essere) o “Il matrimonio è come un lavoro, richiede impegno e dedizione” (ma che novità).

Privo della leggerezza della commedia quanto piuttosto appesantito da un incessante vai e vieni di ricordi e personaggi tra l’appartamento e la stanza di hotel (la numero 212 con un preciso riferimento all’articolo del Codice Civile francese che enuncia che i coniugi si devono rispetto, fedeltà, aiuto ed assistenza reciproci) il film ha valso all’inespressiva Mastroianni un premio (potenza del cognome) come migliore interpretazione nella sezione Un certain regard.

In sala dal 20 febbraio 2020 distribuito da Officine Ubu




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