Attenzione: un Ufo si aggira per le strade di Trastevere. E’ alto, colto, bonario ed elegante. Incarna una romanità in via d’estinzione e mitizza quella lentezza esistenziale capace di fare assaporare ancora le piccole cose della vita. Che sia un bicchiere di vino o la lettura di un vecchio libro, il Professore di latino in pensione di Gianni Di Gregorio è l’emblema di un cambiamento sempre possibile. Anche a 70 anni.
La spinta a sognare un’altra vita- campare con la pensione è difficile in Italia- arriva dalla comunanza con altri due coetanei in cerca di riscatto: Giorgetto (Giorgio Colangeli), nullafacente scansafatiche e Attilio (il compianto Ennio Fantastichini alla sua ultima apparizione), robivecchi e fricchettone.
Con l’aiuto ideologico di un illuminato economo (la lezione al terzetto di Roberto Herlitzka su potere d’acquisto e beni di consumo vale il film) ecco spuntare le Azzorre, una destinazione comoda e sicura da tasse, maremoti e guerre civili. Ma ci sono figlie da lasciare (Daphne Scoccia), frontiere di un piccolo mondo conosciuto da superare (la porta Settimiana) e abitudini da lasciarsi alle spalle in questo viaggio morale prima ancora che fisico.
Sarà un giovane africano arrivato in Italia con un gommone e che sogna di raggiungere il fratello in Canada ad indirizzare la nuova rotta esistenziale di questi tre personaggi che scaldano il cuore e regalano sorrisi e speranza in un mondo migliore allo spettatore.
Al suo quarto film dopo il pluripremiato Pranzo di ferragosto, Gianni e le donne e Buoni a nulla, Gianni Di Gregorio annulla i confini tra maschera e persona portando in scena la sua vita e il suo mondo con uno stile inconfondibile. Come il primo Nanni Moretti, l’autore romano mette in scena se stesso con un’apparente leggerezza di tocco che nasconde tesori di umanità e problematiche sociali.
Sembrano favole ma i film di Di Gregorio (una sorta di Kaurismaki de noantri e qui siamo vicini a Miracolo a Le Havre) parlano dell’Italia di oggi e invitano alla riflessione attraverso una serie di piccoli quadretti affettuosi e lirici capaci di sollevare riflessioni al tempo del cinema muto per l’espressività degli attori e della comicità di situazione spesso scatenata dal quotidiano.
Ed ecco un ufficio postale straniante e un viaggio in autobus fino a Tor Tre Teste che scopre nuove dimensioni, una serie di villette con giardinetto che nascondono varia umanità e una vecchia moto Triumph per ricordare che si è cittadini del mondo, le lezioni di portoghese che finiscono a cena nel mutismo generale e una citazione di Cicerone (Una casa senza libri è come un corpo senz’anima) per ricordarsi del potere della cultura.
Perché i rischi bisogna saperli correre e alla fine l’importante è almeno provarci. E in un film pieno di affettuose complicità persino una fetta di cocomero da assaporare in compagnia può essere una bella ricompensa. Prodotto da Angelo Barbagallo, ispirato da una conversazione del regista con Matteo Garrone (con lui Di Gregorio è stato assistente alla regia e ha scritto la sceneggiatura di Gomorra), sceneggiato con Marco Pettenello e tratto da uno dei racconti che comporranno Storie dalla città eterna- l’antologia letteraria pubblicata da Sellerio in primavera- Lontano lontano- presentato con successo al Torino Film Festival lo scorso novembre- è un film trasognato, malinconico e controrivoluzionario (alla faccia della tecnologia imperante si ascolta solo una volta lo squillo di un cellulare).
Un invito alla predisposizione verso l’altro attraverso un percorso di conoscenza di se stessi mai banale e scontato. Di film come questi ce ne vorrebbero di più ma non mettete fretta a Di Gregorio. Uno capace di trasformare la pigrizia e l’indolenza tipicamente romane in talento. Da non perdere.
In sala dal 20 febbraio distribuito da Parthénos