Una sfida impossibile, una passeggiata su una linea retta che fluttua verso l’infinito, un concentrato di coraggio e follia per sentirsi vivo e meritarsi gli applausi del pubblico. Quando il 7 agosto del 1974 il funambolo francese Philippe Petit (Joseph Gordon-Levitt) sorprese la città di New York camminando su una fune d’acciaio tesa tra le due torri del World Trade Center
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Una sfida impossibile, una passeggiata su una linea retta che fluttua verso l’infinito, un concentrato di coraggio e follia per sentirsi vivo e meritarsi gli applausi del pubblico. Quando il 7 agosto del 1974 il funambolo francese Philippe Petit (Joseph Gordon-Levitt) sorprese la città di New York camminando su una fune d’acciaio tesa tra le due torri del World Trade Center, inaugurate l’anno prima e parzialmente occupate, gli occhi increduli dei cittadini americani ancora non immaginavano che quei monumenti alla maestosità sarebbero stati spazzati via nel 2001 dall’attacco aereo cancellando di fatto un concetto di mondo.
The walk, il nuovo film di Robert Zemeckis presentato alla Festa del cinema di Roma in uno sfavillante 3D, racconta la straordinaria impresa di Petit tra ammirazione e nostalgia. Dall’infanzia col colpo di fulmine al circo all’incontro con la bella artista di strada (Charlotte Le Bon) alla quale ruba cuore e spazio, dai segreti del volteggio (“Se ti credi invincibile morirai” lo ammonisce Ben Kingsley) al bizzarro reclutamento della squadra di sognatori che lo aiuterà nell’ardita impresa. Ecco così un fotografo anarchico, un insegnante di matematica che soffre di vertigini e un assicuratore che lavora all’81mo piano del World Trade Center spacciarsi per una squadra di operai e dopo sopralluoghi e incidenti accompagnare per mano Petit verso il colpo artistico del secolo.
Plastici e nodi, cavi che si allentano e un cornicione come camerino, ganci di sicurezza (“In scena non si mente” afferma Petit rifiutando d’indossarlo) e ferite al piede, 110 piani da scalare verso l’immortalità e un bilanciere che arriva dritto nell’occhio dello spettatore. Tratto da “Toccare le nuvole”, il libro autobiografico del funambolo che volle farsi artista, il film di Zemeckis, impeccabile dal punto di vista tecnico, lascia invece a desiderare su motivazioni e psicologia del protagonista. L’urgenza creativa e la voglia di assoluto lasciano così il passo allo spettacolo puro che si ammira ma non si ama fino in fondo.
Come se quell’eccentrico visionario rimanesse a distanza e quella danza nel cielo si rivelasse un gesto isolato piuttosto che una concezione di vita irrinunciabile. Certo, Zemeckis mette lo spettatore all’altezza giusta e ci (tras)porta sulla fune con Petit guardando il mondo sottostante dalla sua prospettiva ma per le vertigini assolute meglio rivolgersi a “Man on the Wire”, lo straordinario documentario di James Marsh sulla vita di Petit che vinse l’Oscar nel 2009. |