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giovedì 8 maggio 2014
di Francesca Spada
Good with people
Al teatro Argot Studio, la pièce dello scozzese David Harrower tradotta da Natalia Di Giammarco
Un incontro/scontro che, ribaltando continuamente (pre)giudizi morali e luoghi comuni, riscrive le storie personali dei protagonisti.
Helen (Vanessa Scalera) è la diligente receptionist dell’Hotel Vista sul mare della piccola e grigia cittadina di Helensbourgh, sua proiezione ambientale nel nome e nell’aspetto. La routine quotidiana, fatta di registri e moduli da compilare, viene interrotta dall’arrivo di un giovane ospite di nome Evan (Tiziano Panici, che cura anche la regia), dai modi bizzarri e poco ortodossi. Tra battibecchi e provocazioni reciproche, i due scoprono di conoscersi e di avere più di un conto in sospeso l’uno con l’altra.

Il famoso J’accuse, con cui Émile Zola si rivolse all’allora Presidente della Repubblica Francese Félix Faure a proposito dell’Affare Dreyfus, è citato, rimestato e scarnificato nel testo di Harrower, sviluppato sui non detti e sulle allusioni che, progressivamente, si allargano a costruire un quadro di vita complesso e affatto scontato, dissestando pezzo per pezzo lo status quo, solo in apparenza confortante e sicuro.
Bastano poche battute per capire che Evan ha un passato da bullo arrogante e un presente da eroe della workingclass, e che la borghese Helen, costretta nell’abito bon ton e nel filo di perle, può sciogliere i capelli e i nervi, e liberarsi di una realtà che le è stata cucita addosso come quel tubino nero, così rigido e sobrio.

Sottoposto a un continuo gioco di paradossi e rovesciamenti, lo spettatore si astiene dal giudicare, come l’autore del dramma, e assiste alla cronaca intima di due famiglie sullo sfondo di un contesto socio-culturale ben preciso e discusso (la periferia scozzese all’epoca della Forza Nucleare Britannica), seppure appena accennato, interrogandosi su vincitori e vinti, buoni e cattivi della Storia. Quella grande, collettiva, che mastica tutto e tutti livellando differenze di classe, di sesso e di pensiero.

Da un lato la colpa da espiare, dall’altro il desiderio represso che prorompe dando nuovo senso e nuovo assetto alle cose. In entrambi i casi, la ragione oggettiva non esiste. Ognuno ha “subìto” un ruolo, non lo ha scelto e si è lasciato vivere, almeno fino al momento della svolta esistenziale, casuale o cercata con ossessione e metodo. Per Evan il viaggio in Pakistan, per Helen l’incontro con un antico nemico, che non è certo il ragazzino cresciuto che picchiava il figlio alle medie. Ma la Noia, l’enorme alienazione prodotta in serie da una consuetudine imposta e fabbricata sul nulla tirato a lucido della modernità.


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