A trent’anni da Forrest Gump, Robert Zemeckis riunisce l’accoppiata Tom Hanks - Robin Wright (anche lo sceneggiatore, Eric Roth è lo stesso) per raccontare lo scorrere del tempo e il valore della memoria in Here.
Ispirato dalla graphic novel di Richard McGuire, il 72enne regista di Ritorno al futuro e Cast away piazza la camera fissa su un angolo di mondo per farne il centro di uno spazio temporale che attraversa le epoche restando in quello spazio con una finestra affacciata sui cambiamenti.
Uso massiccio di CGI e IA (è il limite più grosso del film) per passare dai dinosauri e dai meteoriti alle ere glaciali e all’homo sapiens fino ai giorni nostri (una famiglia afroamericana) attraverso indigeni, coloni, William Franklyn (il figlio illegittimo di Benjamin, il padre fondatore degli Stati Uniti) e loro, Al (Paul Bettany), veterano della Seconda guerra mondiale con la passione per l’alcool e sua moglie, la timida e amorevole Rose (Kelly Reilly) che daranno alla luce Richard (Tom Hanks), il cardine del film di Zemeckis e successivamente sposo di Margaret (Wright).
Con quella casa coloniale costruita nel 1900 a farsi sfondo mutevole (all’interno) e sempre uguale di avvenimenti familiari scanditi da gioie e dolori nei quali tutti potranno riconoscersi.
Aspirazioni da artista (il suo sogno è fare il pittore) e doveri da adempiere (Trovati un lavoro nel quale indossare una divisa gli dice il padre) Richard metterà i sogni in un cassetto nel nome del compromesso prima di rispolverarli dopo il momentaneo addio della moglie insoddisfatta.
In mezzo figli da crescere e visioni del mondo che si allontanano, perdite e rimpianti mentre lo schermo si divide in rettangoli di sequenze che si scompongono l’una nell’altra travalicando i confini epocali. Un parto coi vigili del fuoco e morti per barzellette, la nascita della Tv e l’influenza spagnola, una collana indigena e il rumore del silenzio, Pearl Harbor, biscotti della fortuna e un life coach che pone domande sulla gestione familiare (Sulla stessa barca chi comanda il timone?).
Più altre due famiglie (quella di un aviatore spericolato e quella di una coppia bohémienne degli anni ’40 con lui che inventa la poltrona relax) che Zemeckis abbandona al loro destino troppo presto.
Con quell’unico movimento di macchina nella bellissima sequenza finale a ricordarci che il tempo è volato troppo presto prima del volo del colibrì che fa il paio con la piuma di Forrest Gump.
Ma stavolta tecnica e cuore non sono bilanciati a dovere (come quasi sempre nel meraviglioso mondo artistico di Zemeckis) e vedere i due protagonisti prima ringiovaniti e ventenni affamati di vita e poi invecchiati e nostalgici scatena lo straniamento più che l’emozione.
Effetti più che affetti speciali insomma col risultato che l’anima del film stenta ad emergere. Non siamo insomma dalle parti de La famiglia di Scola e l’unità di luogo, ma non di tempo, scelta da Zemeckis alla fine diventa espediente meccanico più che narrativo.
In sala dal 9 gennaio distribuito da Eagle Pictures