Il mistero della giovinezza, le disillusioni e l’ora del rimpianto dell’età adulta, un romanzo formativo (Ferito a morte di La Capria) e il fascino incantato di una città che Paolo Sorrentino continua ad indagare.
A tre anni dall’emozionante ed ispiratissimo E’ stata la mano di Dio nel quale raccontava la sua dolorosa adolescenza partenopea dopo la morte dei genitori e la decisone di intraprendere la professione registica (impossibile non ricordare quel magnifico finale col protagonista in treno verso la Capitale mentre ascolta Napul’è di Pino Daniele) ecco servito una sorta di controcanto trasognato su ciò che poteva essere e non è stato.
Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, Parthenope è un viaggio alla scoperta di se stessi visto attraverso gli occhi, e soprattutto il corpo, della sua splendida protagonista (l’esordiente modella Celeste Dalla Porta).
Nata nelle acque di Napoli nel 1950, la sirena greca divenuta Dea protettrice incarna la bellezza impossibile da ingabbiare e alla quale Sorrentino si appiglia per la sua ode (si spera) definitiva alla sua città. Un mito che si incarna in una ragazza triste e frivola, determinata e svogliata che passa in rassegna amori fugaci e tradimenti, suicidi (E’ impossibile essere felici nel posto più bello del mondo dice Daniele Rienzo il fratello fragile innamorato di lei) e passioni (l’incontro a Capri con Gary Oldman nei panni di John Ceever) in un andirivieni emotivo raffreddato nel nome della forma e di un estetismo che ammalia qua e là ma soffoca l’insieme.
Così il primo lungometraggio di Sorrentino incentrato su un personaggio femminile sembra il contraltare sbiadito di una Grande Bellezza partenopea che finisce dritto nelle memorie nostalgiche di Youth-La giovinezza (2015).
Aperto da una citazione di Céline (Certo che è enorme la vita, ti ci perdi dappertutto), il decimo lungometraggio di Sorrentino vive di squarci lirici e cadute grottesche, aperture al sublime e momenti osceni (il Vescovo Tesorone di un demoniaco Peppe Lanzetta, preposto al Miracolo di San Gennaro e poi nudo e inginocchiato di fronte a Parthenope che si mostra ma non si concede).
Con i soliti aforismi ad effetto in pieno stile Sorrentino (Le sigarette fumate al mare sono migliori di quelle in piscina; il silenzio nei belli è un mistero, nei brutti un fallimento) declamati come sentenze filosofali ma qui spesso fuori centro.
Mentre Parthenope, una che non sa niente a cui piace tutto, si laurea con una tesi sulle frontiere del miracolo (L’antropologia? E’ vedere, una cosa che s’impara quando inizia a mancare tutto il resto dice il magnifico il prof. Marotta di Silvio Orlando) e fugge a Trento ad insegnare in cerca di un’altra vita.
In mezzo genitori caricaturali (Lorenzo Gleijeses e Silvia Degrandi) e amici di famiglia (bellissimo l’inizio, con quella carrozza di Versailles, regalo del Comandante Lauro/Alfonso Santagata, che viaggia in mare verso la casa di Parthenope e rimanda all’incipit di E’ stata la mano di Dio), odore di amori morti e spasimanti miliardari con elicotteri radar (Non posso venire a letto con te solo per educazione…gli dirà lei), pensieri nascosti e aborti illegali, agenti di dive deturpate da chirurgi brasiliani (Isabella Ferrari velata), j’accuse a Napoli (Luisa Ranieri in versione Sophia Loren) e un’agghiacciante grande fusione in una bisca nella quale due famiglie di camorristi seguono in diretta l’amplesso forzato di due giovani.
Astratto e sospeso (Sono troppo giovane per acchiappare tutte le sfumature dice Parthenope ventenne che da anziana vestirà i panni di Stefania Sandrelli) più che ben scritto, il nuovo film di Sorrentino vive in orizzontale più che in verticale, con una serie di quadri e situazioni che sembrano affascinanti fermo immagini più che sviluppi narrativi.
Derivativa, iconoclasta, dilatata (2h20’) e popolata di personaggi fuori fuoco (su tutti il camorrista che s’innamora, chissà perché ricambiato, di Parthenope), questa epopea al femminile di Sorrentino alterna momenti sublimi (su tutti il ballo a tre sulla terrazza con vista Faraglioni sulle note poetiche e dolenti del Cocciante di Era già tutto previsto) a vere e proprie cadute visive (il bambino di acqua e sale) frutto della voglia di stupire a tutti i costi.
Per scoprire ai giorni nostri e alla fine di un film avvitato su se stesso e dalla confezione tecnica impeccabile (lode alla fotografia di Daria D’Antonio) che la verità è indicibile, il tempo scorre accanto al dolore e che della vita resterà soltanto l’ironia. Magari incarnata (ancora!) da un carrozzone di tifosi napoletani in festa. E’ ora che il talento visionario di Sorrentino viaggi per il mondo.
In sala dal 24 ottobre distribuito da Piper Film