Un viaggio in treno per rivisitare una vita ed incontrare, ancora una volta, i fantasmi diventati demoni di un’intera esistenza. Quelli che si sono trasformati da persona a personaggio regalandogli fama e notorietà. Presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public e in sala dal 7 novembre, Eterno visionario (titolo bellissimo) è il nuovo film di Michele Placido col quale l’attore e regista pugliese rievoca le ossessioni, la poetica, il fascino e l’infelicità familiare che si fa Arte di Luigi Pirandello (sullo schermo un magnifico Fabrizio Bentivoglio).
Scritto da Placido con Matteo Collura e Toni Trupia e liberamente ispirato Il gioco delle parti- Vita straordinaria di Luigi Pirandello di Matteo Collura (edito da Longanesi), il film inizia nel 1934, con lo scrittore siciliano diretto verso Stoccolma per ritirare il Nobel per la letteratura in compagnia del fedele Saul Colin (Placido), l’agente e collaboratore di origini ungheresi e suo unico accompagnatore oltre che depositario di confidenze e sfoghi.
Il fascino oscuro della femminilità e la ricerca dell’equilibrio tra la materialità del teatro e quella sfuggente della donna; il doloroso rapporto con la moglie Antonietta Portulano (Valeria Bruni Tedeschi col lutto nuziale al dito e in bilico tra follia e struggente gelosia), rinchiusa in manicomio per 14 anni e quello, impraticabile per età, con l’amata Marta Abba (Federica Luna Vincenti), giovane attrice esaltata a monumento in vita da Pirandello.
E poi ancora quello con i tre figli schiacciati dal genio paterno, il controverso rapporto col fascismo (la richiesta a Mussolini dei finanziamento di Stato per un Teatro nazionale) e lo scandalo del suo teatro rivoluzionario e troppo in anticipo sul suo tempo in un inestricabile groviglio fra arte e vita che Placido scioglie in cinema umanissimo ed emozionante.
Con un occhio decisivo all’infanzia di Pirandello (davvero potente quel ritorno da adulto alla solfatara paterna che causò la morte di molti bambini in gioventù) e al potere illusorio del talento (Ho creato solo quello che sentivo e in cui riuscivo a credere) che rende incapaci di vivere.
In mezzo stroncature (Benedetto Croce per Il fu Mattia Pascal) e veleno nei piatti, un figlio in guerra e la prima dei Sei personaggi in cerca d’autore subissata di fischi al Valle, il senso pratico dell’arte (Quello che manca a noi Pirandello confessa Luigi), la Berlino dei cabaret e di Kurt Weill (in scena c’è Ute Lemper) e i desideri irrealizzabili (Non ci siamo mai così tanto lontani come quando ci illudiamo di possedere la cosa desiderata).
Col male che nasce credendo di fare del bene e la necessità di scrivere per vendicarsi di essere nati. Mentre uno specchio riflette la vergogna della vecchiaia (la sequenza più bella del film nella notte con Marta Abba al lago di Como) e la scuola della vita insegna a credere alle apparenze senza riserva. Uno dei migliori film di Placido da molti anni a questa parte per essenzialità, tenuta narrativa e rigore stilistico. Da vedere.
In sala dal 7 novembre distribuito da 01