Da una montagna di cadaveri ammassati spunta all’improvviso una mano che riporta alla vita. E’ il bell’inizio di Campo di battaglia, il nuovo film di Gianni Amelio col quale il 79enne regista calabrese torna in concorso al Lido a due anni da Il signore delle formiche.
Storia di contrasti ideologici e dicotomie professionali, il film- scritto da Amelio con Alberto Taraglio e liberamente ispirato a La sfida di Carlo Patriarca (Edizioni Beatbestsellers) è ambientato nel 1918, sul finire della prima guerra mondiale, e racconta l’amicizia di vecchia data di due ufficiali medici che condividono il fronte e il passato.
Stefano (un Gabriel Montesi un po’ ingessato) di famiglia alto borghese e con un padre che sogna per lui un avvenire in politica, gira tra le corsie dei feriti a caccia di simulatori che si procurano volontariamente le ferite pur di non tornare a combattere (A guerra finita onesti e valorosi saranno tutti morti mentre sopravvivranno i simulatori e fare l’Italia resteranno solo i furbi).
Al suo opposto ecco Giulio (un misuratissimo Alessandro Borghi), uomo comprensivo e tollerante che odia il sangue e sognava un futuro da biologo. E’ lui, in gran segreto, a provocare complicazioni alle ferite dei malati che gli chiedono di non dover ripartire per il fronte. Una sorta di sabotatore idealista (Qui non muore nessuno il suo mantra) che gioca a scacchi da solo (Che gusto c’è? gli chiede l’amico. E lui: Vinco sempre io…) e in quella guerra non vede nemici ma solo disperati.
Con l’arrivo di Anna (Federica Rosellini) amica di entrambi ai tempi dell’università e ora infermiera volontaria della Croce Rossa e l’irruzione improvvisa di un’infezione (la febbre Spagnola che provocò solo in Italia 600.000 morti) capace di colpire al cuore più delle armi nemiche.
Girato in Friuli Venezia Giulia con gli scenari naturali a fare da quarta parete di grande suggestione visiva, Campo di battaglia dà il meglio nella prima parte dove Amelio miscela a dovere la babele linguistica (bellissima la sequenza del soldato che urla in sardo tra l’indifferenza della popolazione locale) e gli scemi di guerra (o forse no), le preghiere e le bestemmie dei soldati, le ferite fisiche e quelle morali.
Con quel labirinto di menzogne- in corsia e nelle carte ufficiali da firmare- che finisce paradossalmente per evaporare nel triangolo amore, politica e scienza che segna tutta la seconda parte del film.
Troppa carne al fuoco, con quella competizione amorosa e silenziosa a tre che vive di piccoli accenni al passato e che non riesce mai ad emozionare risultando alla fine inconcludente e un po’ programmatica.
Tra sposi catapultati al fronte subito dopo il banchetto di nozze ed esecuzioni esemplificative (la sequenza più bella ed emozionante del film), richiami patriottici (L’epidemia una disgrazia, la guerra un dovere dice Montesi) e camion militari carichi di morti (impossibile non pensare di rimando a Bergamo e al Covid del 2020) Amelio illustra come un documentarista ma non scalda mai il cuore in un film sulla guerra e non di guerra (escluse le scene di battaglia) che si ammira ma non si ama.
In sala dal 5 settembre distribuito da 01