Un sogno chiamato cinema, una vita messa in scena per ripercorrere la formazione umana ed artistica di un uomo diventato regista. The Fabelmans, il nuovo e attesissimo film di Steven Spielberg fa di autobiografia meta cinema in 2h30’ (troppe) di compendio filmografico (quel super 8 con la battaglia dei soldati sembra una sequenza di Salvate il soldato Ryan) mascherato da racconto di formazione.
Vincitore del Premio del Pubblico al Festival di Toronto, candidato a 5 Golden Globes e presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma, il film- scritto da Spielberg assieme al sodale drammaturgo Tony Kushner- parte dal 1952 con Sam bambino alle prese con la sua famiglia di origine ebree.
Il padre (Paul Dano) tecnico informatico e la madre (Michelle Williams) pianista sensibile e depressa saranno i poli opposti di una battaglia ideologica tra tecnica e arte, praticità e immaginazione che ne segneranno l’infanzia. No, non sarà sono un hobby (come lo liquida il padre) quell’amore incondizionato per le immagini ma è certo che l’Arte è una droga e può distruggere lasciandoti solo come ammonisce lo zio Boris (un grande Judd Hirsh).
Dal New Jersey all’Arizona fino alla California, dall’Hanukkah col trenino elettrico in regalo alla visione epifanica di The Greatest show on Earth (Il più grande spettacolo del mondo) di Cecil B.DeMille che apre le porte dell’immaginario a quel bimbo dapprima spaventato e poi entusiasta di quel fascio di luce che illumina la mente. Dalla gita in campeggio che rivela solo a lui (o forse no) un ingombrante segreto al ballo scolastico di Sam ragazzo (l’ottimo Gabriel LaBelle) con la scatenata Monica (l’irresistibile Chloe East), una che ha in camera un altarino dedicato a Gesù e che non vede l’ora di fare l’amore con lui.
E poi ancora scimmie in casa e sfide al pericolo (il tornado in auto con la madre e le sorelle), sensi di colpa (E’ un’emozione sprecata gli confessa la madre) e bullismo (Jew hole scrivono sul suo armadietto), attacchi di panico e telefonate immaginarie, prove di separazione (Non posso litigare con tuo padre, ha una gentilezza che uccide) e la consapevolezza che non tutto si può sistemare secondo il proprio volere.
Resta la sofferenza da sublimare in Arte, magari con la prima Arriflex 16mm. Perché forse, come dice John Ford (scoprite in sala chi lo interpreta) nel magnifico colloquio-lezione del finale, è tutta una questione di sguardo sull’orizzonte da inquadrare.
Discontinuo e sin troppo prevedibile, girato magnificamente e supportato dalle splendide musiche di John Williams, The Fabelmans, buono ma non ottimo, emoziona solo a tratti (la parte migliore è quella iniziale) con molti dialoghi didascalici che pesano come un macigno sull’andamento del film.
Come se, per la prima volta, Spielberg, stavolta alle prese con la sua vita, non trovasse la mediazione e la giusta distanza per far risuonare forte l’eco nostalgico del suo cinema epico e favoloso, intimo e popolare. Il meglio allora è nel rapporto madre-figlio, che coagula sapientemente tutti i temi di quel dualismo arte-famiglia (Ti spezzeranno in due) sublimato in quel family movie dal doppio montaggio che segnerà per sempre la vita di Sam. E quel motto materno (Tutto accade per una ragione) che trova conferma nel potere salvifico di un film. Ieri come oggi.
In sala dal 22 dicembre distribuito da 01