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martedì 29 novembre 2022
di Claudio Fontanini
Monica
La natura dell’identità e il potere dei ricordi nel bel film di Pallaoro
Un saggio cinematografico sulla natura precaria dell’identità, il ritratto intimo e umanissimo di una donna in fuga dal passato e costretta dagli eventi a guardarsi nuovamente nello specchio familiare con riflessi diversi. 

Passato in concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia, Monica di Andrea Pallaoro esplora temi universali (abbandono, accettazione, riscatto e perdono) attraverso uno stile che coniuga sapientemente estetica ed intimità. 

Senza ricatti morali, retorica e l’uso di scene madri, la terza regia di Pallaoro dopo Medeas e Hannah (Coppa Volpi alla Rampling a Venezia 74) sceglie il formato sperimentale quadrato 1.2:1 e la camera fissa per stringere in primo piano i pensieri della sua straordinaria protagonista (l’attrice transgender Trace Lysette) lasciando i paesaggi fuori dal centro di questo film struggente e doloroso, sommesso e rigoroso. 

Con la Monica del titolo che torma alla sua famiglia d’origine dopo essersene allontanata dall’adolescenza. Non posso più farti da madre si sentì dire da quella genitrice (Patricia Clarkson) che non approvava il desiderio di quel ragazzo che voleva diventare donna e che ora versa in gravi condizioni per un tumore terminale. 

Accolta da cognata e fratello, Monica si riappropria di quella vecchia casa che l’ha vista crescere e che adesso la ospita come una straniera agli occhi di quella madre che non può (non vuole?) riconoscerla. Fisicamente e moralmente. 

Riannodare i fili di una vita attraverso i ricordi d’infanzia e la vista di oggetti che rivivono nel presente (splendida la sequenza nella casa in penombra con Monica che tocca e odora i vecchi mobili), una collana materna indossata allo specchio per provare a sentirsi diversa, un antico carillon a far risuonare una musica dolcissima come una madeleine proustiana. 

Mentre quella madre sofferente, che all’inizio si vede presentare Monica come aiuto infermiera, instaura a poco a poco  una complicità di sguardi (da brividi la sequenza dal parrucchiere con Se perdo te di Patty Pravo in sottofondo) che fa rima con accoglienza filiale. 

Scritto da Pallaoro con Orlando Tirado, Monica diventa così una sorta di via crucis affettiva, un percorso di redenzione attraverso il dolore e la consapevolezza di se stessi (trasformarsi per sopravvivere) che nel magnifico finale diventa anche un passaggio di consegne generazionale e persino un atto politico.        

In sala dal 1 dicembre distribuito da I Wonder Pictures

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http://www.iwonderpictures.com

 
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