Storie di sopravvivenza e di disagi minorili, di immigrazioni e sfruttamento. Il cinema dei fratelli Dardenne prosegue il suo cammino con Tori e Lokita, premio del 75° anniversario a Cannes 2022. L’arte della sottrazione e del descrivere un mondo con pochi ed essenziali elementi è ancora la bussola stilistica di questo tentato viaggio dall’invisibilità al diritto riconosciuto di due giovanissimi africani sbarcati in Belgio.
Lui ha 12 anni e poteri magici (lo straordinario Pablo Schils), lei 16 (Joely Mbundu) vorrebbe diventare una domestica ed è in attesa dei documenti per l’asilo. Si dichiarano fratello e sorella (lo sono veramente?) e intanto vivono nel centro accoglienza, cantano al karaoke di un locale (Alla fiera dell’est di Branduardi), spacciano droga per lo chef, subiscono umiliazioni sessuali (Mi sento sporca dice Lokita), hanno debiti con chi li ha aiutati ad arrivare sin lì (anche la Chiesa non aiuta…) e mandano soldi a casa alla madre (anche se la donna crede che i due tengano i miseri guadagni tutti per loro).
Con l’umanità in esilio e il rapimento di Lokita chiusa in un bunker a curare piante di marijuana fino a debito estinto. Interrogatori e trafficanti, attacchi d’ansia e perquisizioni, schiaffi in faccia per ogni voglio e un sottosuolo urbano come un labirinto dal quale è forse impossibile uscire vivi in un film in apparenza semplice e sin troppo schematico che supera le trappole del film a tesi grazie alla resa prodigiosa e naturalista dei due giovani attori esordienti.
Mentre i Dardenne fanno dei personaggi persone e non simboli politici cercando la verità più che l’intrigo. Magari non riuscendo ad eguagliare capolavori come Rosetta e L’Enfant ma dando voce e corpo a due martiri del nostro tempo che restano a lungo negli occhi e nella mente dello spettatore.
In sala dal 24 novembre distribuito da Lucky Red