Un processo specchio di un paese, due amanti nell’Italia reazionaria del ’68 (non è un ossimoro…), un autore che si mette in gioco in prima persona mai come in questo film.
Passato in concorso a Venezia (era uno dei cinque italiani in corsa per il Leone d’Oro), Il signore delle formiche (titolo bellissimo e suggestivo) rievoca e ricostruisce con mano sicura e dettagli storici il clamoroso e quasi misconosciuto atto d’accusa intentato dallo Stato contro Aldo Braibanti (sullo schermo un magnifico Luigi Lo Cascio), intellettuale, scrittore e artista emiliano accusato di aver plagiato un suo giovane collaboratore, il 25enne Giovanni Sanfratello (ma nel film è ribattezzato Ettore) riducendolo in totale stato di soggezione.
In realtà dietro quel processo barbaro e ben documentato da Amelio con stile classico e rigoroso c’è ben altro e alla sbarra, con l’imputato che all’inizio decide di fare scena muta, c’è la violenta e discriminatoria vessazione contro la diversità.
Perché in fondo questo magnifico ritratto d’epoca che naturalmente parla ai giorni nostri con lo sguardo del passato è la messinscena di un amore che fa paura, di un sentimento fuori controllo capace di rendere liberi e audaci chi lo possiede.
Ed ecco tutto il corollario di personaggi secondari a ostruire il cammino felice e istruito di quella coppia di amanti del bello. Su tutti la la perfida madre del giovane (Un dottore ha detto che ai giovani fanno male i libri che hanno meno di 100 anni) a cercare di curare il figlio (il sorprendente esordiente Leonardo Maltese) a colpi di elettrochoc e preghiere a Padre Pio e il fratello intimamente geloso di quel sodalizio prima intellettuale (Il maestro che si sceglie è il primo atto di libertà di un artista) e poi fisico.
C’è anche un giornalista de l’Unità (l’ottimo Elio Germano) inventato in sceneggiatura da Amelio con Edoardo Petti e Federico Fava e capace di sfidare il suo direttore (Non possiamo diventare l’organo di difesa di un vizioso…) che gli impedisce di usare negli articoli le parole PCI (del quale Braibanti era stato un dirigente) e omosessuale.
Militante e mai manicheo (di Braibanti Amelio non fa certo un santino, anzi), austero ed emozionante (lodi al magnifico e struggente finale che rimanda per senso al Visconti di Morte a Venezia con quelle goccioline di pioggia sugli occhiali appannati di Lo Cascio sulle note dell’Aida), Il signore delle formiche (Braibanti era anche un mirmecologo interessato al bene collettivo davanti all’egoismo rappresentato da quegli insetti dotati persino di stomaco sociale) passa in rassegna colpe e coraggio, religione cosmica e voglia di ribellione, lettere d’amore e rappresentazioni inconsce (Chi combatte coi mostri deve stare attento a non diventarlo) in 135’ che tengono alta la bandiera del cinema d’autore italiano.
In sala dall’8 settembre distribuito da 01