Due coppie affiatate, quattro amici di vecchia data messi improvvisamente alla prova dal successo, inaspettato di una di loro. Succede in La felicità degli altri, quarta regia cinematografica di Daniel Cohen e adattamento della commedia teatrale L’île Flottante dello stesso regista transalpino.
Quando Léa (Berenice Bejo), dominata dal marito e maschio alfa (Vincent Cassell) e in apparenza la più remissiva del gruppo, decide di scrivere un romanzo e abbandonare la sua professione (commessa in un negozio di abbigliamento in un centro commerciale) si scatena in quel quartetto una vera e propria guerra di nervi a colpi di frustrazioni e invidie più o meno striscianti.
Col marito in carriera che si riconosce amaramente nello scritto (ma sarà veramente lui il soggetto letterario?) e l’altra coppia di amici (Florence Foresti e François Damiens) incredula del successo dell’amica (una incapace persino di ordinare un dessert al ristorante) e spinta ad emularla in varie discipline.
Possiamo essere felici per il successo degli altri? Quanto costa riconoscere i propri limiti, umani ed artistici? A queste domande risponde con eleganza e intelligenza il bel film di Cohen (sceneggiato dallo stesso regista con la collaborazione di Olivier Dazat) che serve su un piatto d’argento ad un poker di attori affiatati e in gran forma dialoghi scintillanti e battute al vetriolo.
Tra gelosia preventiva e penne il lega d’alluminio australiano, ricerca dell’ispirazione (Paul Valery disegnava prima di scrivere, Rimbaud fumava l’oppio e io pulisco gli stipetti dice Karine) e moto in regalo coi primi diritti d’autore, sculture in progress (C’è un cavallo lì dentro, cerco di tiralo fuori. Davvero? Deve annoiarsi a morte… battibeccano moglie e marito) e corsi di bonsai giapponesi (una delle scene più esilaranti del film) La felicità degli altri insinua il seme del dubbio nella solidità- spesso apparente- di una relazione abitudinaria.
Con la capacità di ascolto e di osservazione in primo piano per capire l’essenza e la portata di una persona. Sul divano o sulla carta. Apparentemente leggero eppure problematico, il film di Cohen- che prende a modello Cena tra amici e Carnage- lascia allo spettatore un retrogusto amaro. Perché tra limiti e zone cieche ognuno giudica gli altri con se stesso nel mirino e, alla fine, leggere un libro vuol dire aprirsi agli altri e al cambiamento.
In sala dal 24 giugno distribuito da Academy Two