L’assenza è un assedio cantava Piero Ciampi e vedendo il nuovo film di Pupi Avati (dall’8 febbraio su Sky Cinema) ci sono tornate in mente le parole del geniale cantautore livornese sempre troppo poco ricordato. Perché Lei mi parla ancora, con Renato Pozzetto impegnato per la prima volta in un ruolo drammatico, è una vera e proprie ode al valore sacrale di una relazione amorosa, capace di travalicare spazio e tempo nel nome della fedeltà reciproca all’assolutezza di un sentimento.
E’ quello che succede a Nino che ha appena perso la moglie Caterina (Stefania Sandrelli) dopo 65 anni di matrimonio e ora sta per lasciarsi andare in una casa museo sul delta del Po ferrarese. Prova a scuoterlo, a sua insaputa, una delle figlie (Chiara Caselli) che gli recapita a domicilio un giornalista divorziato e in bolletta con velleità di scrittore (Fabrizio Gifuni) chiamato a raccogliere le sue confessioni su quel lunghissimo rapporto a due. Sarà l’occasione per un bilancio esistenziale che mette in scena l’amore come un vero e proprio superpotere capace persino di rendere immortali.
Liberamente tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Sgarbi (edito da Skira e pubblicato adesso da La Nave di Teseo) Lei mi parla ancora è un film antico e nobile, una favola romantica che mette a confronto epoche diverse in una messinscena intima e naturale.
Con Avati (autore della sceneggiatura col figlio Tommaso) interessato più al come che al cosa (gli eventi sono apparentemente banali) in un viaggio tra i ricordi che diventa una imprevedibile sintonia tra due personaggi agli antipodi (Come fa a scrivere la mia storia se non è stato capace di amministrare la sua? chiede sospettoso all’inizio Nino al giornalista).
Tra vecchie canzoni dei Radio boys e notti incantate di cinema all’aperto, sfide in rima e calligrafia di campagna, balere sul fiume e zie folli, ragazzi in guanti bianchi, lettere di promesse e nostalgie di abbracci (ogni allusione al presente non è puramente casuale…), Lei mi parla ancora è un’opera trasognata che sfida regole e convenzioni tra qualche inciampo (il cellulare che squilla in terapia intensiva), una voce fuori campo a dare calore e le musiche sin troppo insistite di Lucio Gregoretti a riempire le sequenze.
E una frase finale di Cesare Pavese (L’uomo mortale non ha che questo d’immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia) a impreziosire questo film lieve e sospeso nel tempo che ci ricorda cosa significa(va) amare. Sulla scia del Massimo Boldi di Festival, dell’Abatantuono di Regalo di Natale e del Christian de Sica de Il figlio più piccolo, Avati regala a Renato Pozzetto il ruolo della vita con l’attore che si cala nella parte con misura e sincera compassione. Nel cast anche Isabella Ragonese e Antonio Musella (sono Caterina e Nino da giovani negli anni ’50), Alessandro Haber, Gioele Dix, Nicola Nocella e Serena Grandi.
Su Sky Cinema dall’8 febbraio e on demand e in streaming su Now Tv