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giovedì 14 maggio 2020
di Claudio Fontanini
Georgetown
L’esordio alla regia di Christoph Waltz sulla natura ambigua delle apparenze
Genio della diplomazia o impostore seriale? Self made man di successo o truffatore camaleontico? Agli interrogativi sulla vita di Ulrich Mott risponde con algida eleganza Georgetown, l’esordio dietro la macchina da presa di Christoph Waltz che si ritaglia anche il ruolo dell’enigmatico protagonista. 

Ispirato ad eventi realmente accaduti (alla base c’è The worst marriage in Georgetown, l’articolo di Franklin Foer pubblicato nel 2012 dal New York Magazine) il film viaggia avanti e indietro nel tempo per raccontare la vita di un uomo sfuggente e imprevedibile. 
Si comincia (splendida sequenza iniziale) con Mott in divisa irachena sulla cima di una collina del deserto e si prosegue con una serie di flashback che ce lo consegnano prima come cinquantenne stagista governativo al Campidoglio (La Storia e la prassi della diplomazia sono le mie passioni) e poi come avido cacciatore di incontri capaci di cambiargli la vita. 

Sarà quello con una donna più grande di lui di trent’anni (Vanessa Redgrave), una giornalista politica appena diventata vedova che sposerà tra lo stupore generale, a spianargli la strada verso la notorietà. Da maggiordomo servizievole a padrone di casa galante di una splendida abitazione che diventerà una seconda ambasciata

Tra diplomatici sovietici delle nazioni unite e funzionari del dipartimento di stato americano, sicurezza operativa e informazioni riservate, geopolitica e persino una Ong personale che durante la guerra in Iraq tenta la missione diplomatica indipendente, la vita di Mott, futuro Brigadier Generale delle forze speciali irachene, è passata al setaccio da Waltz dopo il ritrovamento del cadavere della moglie novantenne ferita da un corpo contundente. 

Indagato per omicidio (c’è anche una vecchia denuncia penale della moglie) Mott, una specie di taumaturgo politico, è l’emblema della natura ingannevole delle apparenze in un film che ricorda per certi versi  Il mistero von Bulow di Barbet Schroeder del 1990. Ma qui, più che la fame di potere e l’avidità contano il desiderio inespresso di trovare un ruolo definito nel mondo in una sorta di rivincita personale contro le sofferenze giovanili. 

Una sorta di Zelig militare (magnifico Waltz nelle varie presentazioni in società e persino con una benda sull’occhio per inscenare ferite di guerra) che magari da una stanza d’albergo può persino cambiare le sorti di una guerra. Uno che rovescia il vecchi motto di Churchill sulla diplomazia (E’ l’arte di dire alle persone di andare all’inferno in modo tale che chiedano indicazioni) aiutando i suoi interlocutori a trovare il sentiero verso il paradiso. Magari soltanto immaginato. 

Classico e senza troppi sussulti ma solido nello script (David Auburn) e ottimamente interpretato (nei panni della figlia della moglie del protagonista c’è una scettica Annette Bening) Georgetown- girato quasi interamente a Toronto- mette in scena un cinema di parola più che di sguardo che ben si adatta all’uscita casalinga on demand su Sky Primafila Premiere, Apple Tv, Chili, Google Play, Infinity, Tim Vision, Rakuten Tv, The Film Club e CG Digital.         . 

On demand dal 19 maggio distribuito da Vision

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http://www.visiondistribution.it

 
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