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sabato 28 dicembre 2019
di Claudio Fontanini
SORRY WE MISSED YOU
Lavoro precario e affetti rubati nel magnifico film di Ken Loach
Alla ricerca del tempo perduto. Quello che la globalizzazione e la ricerca del profitto ad ogni costo ha rubato a famiglie e lavoratori costretti a confrontarsi con salari indecenti e sistemi di monitoraggio elettronico. Per qualcuno farà sempre lo stesso film ma Ken Loach è in realtà uno degli ultimi artisti in grado di tradurre l’allarme sociale in cinema civile
Alla ricerca del tempo perduto. Quello che la globalizzazione e la ricerca del profitto ad ogni costo ha rubato a famiglie e lavoratori costretti a confrontarsi con salari indecenti e sistemi di monitoraggio elettronico che controllano a distanza movimenti e consegne. 

Per qualcuno farà sempre lo stesso film ma Ken Loach è in realtà uno degli ultimi artisti in grado di tradurre l’allarme sociale in cinema civile. Mai così urgente e necessario come di questi tempi. 
Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes (dove avrebbe meritato un premio) Sorry we missed you continua l’analisi sociale e politica della realtà inglese con una dolorosa indagine sulla famiglia contemporanea aggredita nella sua dignità dalla precarietà lavorativa. 

Dopo aver sognato una casa di proprietà e aver dovuto fare i conti col crack finanziario del 2008, l’indebitato Ricky (Kris Hitchen, una faccia che non si dimentica) vede all’orizzonte una nuova possibilità d’impiego. C’è la possibilità di mettersi in proprio e lavorare come corriere per una ditta in franchise (Non vieni assunto ma inserito…). Venduta l’auto della moglie (Debbie Honeywood) che lavora come badante a chiamata a zero ore e acquistato un nuovo furgone, l’uomo scoprirà sulla propria pelle le storture di un sistema produttivo che rende schiavi di orari e competitività.

E’ la cosiddetta gig economy (il modello economico basato sul lavoro accessorio) che di fatto certifica la precarietà dell’impiego in un mostruoso vortice che si ripercuote sulle fondamenta della famiglia. Prima o poi si arriverà al punto di rottura e il film di Loach lo testimonia in ogni sequenza, in ogni sguardo dei protagonisti, chiamati ad una vera e propria guerra di nervi che spodesta affetti e privato nel nome dello sfruttamento e della riduzione dei costi. 

Ed ecco quel padre stacanovista alle prese con la tecnologia più sofisticata che detta i percorsi e i tempi di consegna per le vie di Newcastle mentre il consumatore cliente (quando torneremo ad essere persone?) è seduto sulla sua poltrona di casa a seguire il veicolo durante la sua corsa. 

Non c’è tempo neanche per andare in bagno (agghiacciante quella bottiglietta di plastica tenuta nel furgone per le urgenze) in quelle 14 ore per sei giorni alla settimana. Con quello scanner portatile (La scatolina nera che decide chi vive e chi muore gli dice il burbero capo magazzino che lo istruisce sulle consegne) a scandire il ritmo di giornate che dilaniano anima e corpo

E mentre la generosa moglie dà istruzioni al telefono ai figli mentre viaggia in autobus tra una visita ad un anziano e un’altra ad un disabile quei due ragazzi provano sulla loro pelle il peso della solitudine e delle responsabilità. L’espulsione da scuola del primogenito, un sedicenne taciturno e nichilista, sarà la goccia che farà traboccare il vaso in un susseguirsi di eventi e negatività scatenati dalla condizione lavorativa della coppia. 

Tra foto di famiglia e graffiti sul muro, sfoghi e utopie (quella del giorno libero), chiavi rubate, crolli sul divano e dettagli che fotografano un mondo (lo spray nasale che Abby si mette prima di entrare nelle case dove opera) Sorry we missed you è un documento autentico del vissuto di tante famiglie

Un invito a scoprire cosa si nasconde dietro il benessere apparente e alla condivisione contro la dittatura dei codici a barre. Perché negli occhi assonnati e pesti alla guida di Ricky (indimenticabile e toccante il finale non consolatorio) ci siamo tutti noi e il nostro futuro da riconquistare. 

In sala dal 2 gennaio distribuito da Lucky Red  


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