Aperto da un irresistibile e amarissimo dialogo sugli svantaggi dell’essere intelligenti, La caduta dell’impero americano chiude ameraviglia la trilogia satirica sulla crisi dell’Occidente del 77enne Denys Arcand. Prima il sesso nel Declino dell’impero americano (1986), poi la morte ne Le invasioni barbariche (2003 e premio Oscar per il miglior film straniero) ed ora il denaro al centro narrativo di questo elegante ed effervescente polar comico che gioca con gli stereotipi dei personaggi cinematografici in un balletto di rivelazioni e colpi di scena che tiene incollati per due ore alla poltrona.
Fattorino timido e caritatevole laureato in filosofia, Pierre Paul (Alexandre Landry) è in rotta con la sua amante, una cassiera di banca divorziata e stanca dei suoi fallimenti esistenziali. Solitario e circondato dai libri, quel trentaseienne gentile che aiuta i senzatetto, durante un giro di consegna col suo furgone, si ritrova al centro di una rapina nel deposito di una gang. Ci scappano due morti, un bandito fugge e i due borsoni pieni di soldi rimangono in strada. Che fare?
Basta un attimo e la decisione, rivoluzionaria per lui, è presa. Fuggire a casa col malloppo e provare a cambiare vita. Lo aiuteranno nell’impresa un ex galeotto appena uscito di prigione (Rémy Giraldi) che ha studiato economia aziendale mentre scontava la pena, una bellissima escort (Maripier Morin) che cita Racine, si fa chiamare Aspasia come l’amante di Pericle e crede solo nel dollaro americano e un potente avvocato d’affari (Pierre Curzi) esperto in paradisi fiscali.
E intanto una coppia di strampalati poliziotti indaga sul caso e un gruppo di criminali pretende di riavere indietro il voluminoso bottino. Tra citazioni letterarie e analisi filosofiche (La fortuna è collegata alla felicità secondo l’etica di Aristotele), provvidenza e volontà del destino (l’Amor fati di Marco Aurelio), passeggiate romantiche a Montréal e frecciate politiche (Trump? L’hanno votato in 63 milioni. Gli imbecilli adorano i cretini…), strategie di evasione fiscale e torture, il nuovo film di Denys Arcand viaggia spedito come quel fondo off shore di beneficenza anonima che nel sottofinale arriva fino in Svizzera attraverso banchieri compiacenti.
I soldi danno o no la felicità? All’interrogativo tenta di rispondere un film leggero nello stile e nei toni ma profondissimo nella sostanza e che coniuga divertimento e riflessione senza moralismi o ricatti emotivi. Con quegli sguardi in macchina dei nullatenenti di Montréal che sui titoli di coda guardano fisso lo spettatore a ricordare le vere vittime di questa guerra combattuta a colpi di profitto.
In sala dal 24 aprile distribuito da Parthénos