Una donna sposata e con una figlia e un uomo con una moglie incinta fanno selvaggiamente l’amore nel retro di un furgoncino. Sembra l’inizio di un film su una relazione extraconiugale e sul tradimento e invece Sarah & Saleem (Là dove nulla è possibile), opera seconda del palestinese Muayad Alayan diventa un dramma sociale e politico che sposta il confronto dal privato al pubblico (un po’ come accadeva nel magnifico L’insulto, il film di Ziad Doueiri premiato a Venezia nel 2017 sul conflitto libano-palestinese) con una città occupata, Gerusalemme, che diventa il vero antagonista della coppia.
Lei è israeliana (l’intensa Silvane Kretchner) e gestisce un bar a Gerusalemme Ovest, lui è palestinese (Adeeb Safadi), vive a Gerusalemme Est e lavora come fattorino. Provengono da ceti sociali diversi, si incontrano di nascosto e sfidano il destino consumando sesso per riempire vuoti emotivi e famiglie oppressive (Sarah è sposata con un colonnello dell’esercito e Saleem è stanco di subire gli aiuti economici del cognato). Fino alla sera nella quale si trovano nel posto sbagliato (a Betlemme) al momento sbagliato e quella che doveva essere una semplice relazione clandestina si trasforma in un affare di Stato dove, tra governi che non vedono l’ora di scoprire complotti inesistenti, strumentalizzazioni, inganni crescenti e mistificazioni politiche, la verità non conta.
Tra rapporti postdatati e interrogatori fiume, false accuse e confidenze, contratti matrimoniali che non prevedono il divorzio, solidarietà femminile e un avvocato dei diritti dei prigionieri che si batte per far emergere la realtà dei fatti, il film di Alayan (Premio del pubblico al Festival di Rotterdam) poggia su una sceneggiatura potente e solidissima (a scriverla col regista c’è il fratello Rami) che trasforma questa incalzante storia extraconiugale in una magistrale lezione di storia moderna.
Con la città Santa che detta i tempi e le regole di un mondo a parte nel quale la pressione sociale e politica arriva a schiacciare l’individuo e a privarlo della libertà di agire. Con le barriere sociali e i muri a segnare i territori, fisici e morali, entro i quali operare e sopravvivere. E con un atto sessuale che può diventare persino rivoluzionario nella sua messinscena pubblica.
Peccato soltanto per una regia sin troppo scolastica e didascalica che non sembra all’altezza del bruciante script. Ma paura, isolamento e sopraffazione tengono desta l’attenzione dello spettatore per 127’ (forse troppi) in un film necessario e problematico nel quale, oltre la città contesa in Medio Oriente, non è poi così’ difficile riconoscersi anche nel nostro mondo occidentale sempre più votato al razzismo e alla segregazione culturale.