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martedì 25 dicembre 2018
di Claudio Fontanini
Suspiria
Guadagnino stravolge il film di Argento e punta tutto sulla forma
Luca Guadagnino non ha ripetuto l’errore commesso nel 1998 da Gus Van Sant che rifece, letteralmente, lo Psycho di Alfred Hitchcock inquadratura per inquadratura. Per Suspiria, il film della sua vita, l’autore di Chiamami col tuo nome sceglie giustamente la via opposta ovvero quella di trasformare quel film lisergico e assordante in qualcos’altro. 

Ambientato nella Berlino del ’77 (l’originale si svolgeva a Friburgo), dove imperversano terrorismo e bande armate e il passato si chiama nazismo, il remake di Guadagnino è un inno al potere femminile visto attraverso una battaglia politica all’interno di un movimento e di una trasformazione corporea che somiglia ad un vero e proprio calvario fisico. 

Arrivata dall’Ohio e con un passato misterioso alle spalle, Susie (Dakota Johnson) è una giovane ballerina appena ammessa alla prestigiosa scuola di danza Markos Tanz Company per sole ragazze. A dirigerla c’è una severa maestra che ricorda Pina Bausch (una carismatica Tilda Swinton) e che vede subito in lei possibilità agonistiche estreme (Dobbiamo librarti in aria) mentre dentro quel palazzo iniziano ad accadere strani fatti. 

Una compagna di corso scompare nel nulla (Chloe Grace Moretz) dopo aver rivelato al suo psicologo (nei titoli l’inesistente Lutz Ebersdorf in realtà la stessa Tilda Swinton) la tragica scoperta: quell’accademia di danza è in realtà un covo di streghe. 
Inizia da qui l’indagine, accorta e defilata, di quel vecchio dottore- che ha alle spalle una storia d’amore con una moglie scomparsa trent’anni prima- mentre all’interno dell’edificio si combatte una vera e propria guerra di potere tra arte (La danza non deve più essere bella ed allegra dice Madame Blanc) e politica. 
Finirà malissimo per molte in un sabba infernale che chiarirà le nuove gerarchie e con un gesto di pietà per un uomo che non ricorderà più nulla del suo passato. 

Tra riti esoterici e transfert mentali (Amare e manipolare a volte sono compagne di letto), rinascite (Quando danzi la coreografia di un’altra rinasci ad immagine di chi l’ha creata) e terrificanti visioni notturne (Il delirio è una menzogna che dice la verità), simboli ed uncini, il nuovo Suspiria- girato in 6 atti ed un epilogo- è un film personale ed ambizioso (forse troppo) che si fa specchio della Storia e del passato in un gioco di rimandi politici che però poco si accorpa alla trama (sceneggiatura di David Kajganich sulla base di quella di Dario Argento e Daria Nicolodi). 

Con Guadagnino che scava nell’animo femminile fino all’inevitabile rimando al movimento meetoo. Un dramma sanguinoso che echeggia Fassbinder e si serve delle scenografie gelide e geometriche di Inbal Weinberg (dimenticate il liberty e la pop art del film di Argento) e della musica firmata dal leader dei Radiohead, Thom Yorke. Il meglio allora è nella costruzione dell’immagine e nelle bellissime sequenze di danza (da applausi a scena aperta il primo provino senza musica di Susie) che scandiscono i tempi di una storia che fa del movimento del corpo un vero e proprio linguaggio da decifrare. 

Peccato che poi la durata extralarge (2h30’) e qualche passaggio a vuoto  dilatino il tutto fino a sfiorare la noia in qualche passaggio. Per tenebre, lacrime e sospiri di paura rivedere l’originale. Curiosità: Jessica Harper, la Susie del film di Argento compare qui nel ruolo di una delle streghe.

In sala dal 1 gennaio distribuito da Videa   


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