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venerdì 3 novembre 2017
di Claudio Fontanini
BORG McENROE
Nel film di Metz, l’appassionante confronto tra stili di gioco e di vita.
Uno era introverso, glaciale, superstizioso e potente; l’altro irascibile, sanguigno, affamato di gloria e talentuoso. Una delle più grandi e spettacolari rivalità sportive, quella tra lo svedese Björn Borg e l’americano John Mc Enroe rivive sullo schermo nel bel film di Janus Metz, passato nella selezione ufficiale della Festa del cinema di Roma e dal 9

Uno era introverso, glaciale, superstizioso e potente; l’altro irascibile, sanguigno, affamato di gloria e talentuoso. Una delle più grandi e spettacolari rivalità sportive, quella tra lo svedese Björn Borg e l’americano John Mc Enroe rivive sullo schermo nel bel film di Janus Metz, passato nella selezione ufficiale della Festa del cinema di Roma e dal 9 novembre in sala. Sport poco frequentato dal cinema, il tennis si prende la meritata rivincita attraverso l’avvincente ritratto di un duello agonistico e mentale fra due uomini costretti a fare i conti coi demoni del loro passato.

Ed ecco lo svedese di ghiaccio (Sembra un iceberg ma in realtà nasconde un vulcano dirà il tennista Vitas Gerulaitis all’amico McEnroe) preso da adolescente sotto l’ala protettiva del capitano di Coppa Davis, Lennart Bergelin (l’ottimo Stellan Skarsgärd) che lo mette in riga incanalando la sua esuberanza autodistruttiva e trasformandolo in una macchina priva di emozioni. A partire dall’esordio in Davis a 15 anni (il più giovane tennista di sempre ad essere impiegato nella gara) arrivano il successo e la notorietà ma anche un senso di soffocamento (Stanno pianificando la nostra vita gli rimprovera Mariana, la compagna con la quale sta per sposarsi) e un’ansia da prestazione (Tutti aspettano che perda) che genera mostri interiori e voglia di fuga (a 26 anni si ritirerà dopo essere stato spodestato da n.1 della classifica mondiale). 

Dall’altra parte della rete c’è un genietto dei numeri riccioluto e impavido che sfoggia classe cristallina e volèe da urlo e vede nel rivale un simbolo da abbattere. Ma forse dietro una delle più belle partite di sempre della storia del tennis (la mitica finale sull’erba di Wimbledon del 1980 nella quale Borg inseguiva il quinto titolo consecutivo) ci sono soltanto due facce della stessa medaglia, come dimostra il bell’incontro tra i due in aeroporto il giorno dopo il match. Ma l’indimenticabile partita occupa solo l’ultima parte del film di Metz che invece si concentra giustamente sulle psicologie e sull’incrocio di caratteri solo apparentemente agli antipodi. Con Borg (il prodigioso Sverrir Gudnason, quasi un clone dello svedese) che si finge elettricista in un bar londinese per gustare in solitudine un caffè e McEnroe (Shia LaBeouf) che disegna sulle pareti della sua camera d’albergo il tabellone del torneo che lo porterà ad affrontare il suo rivale. 

Girato magnificamente tra sequenze intime e potenti scambi di gioco (suggestive le riprese dei servizi dall’alto con la steady cam), Borg McEnroe è anche una sfida tra continenti e ceti sociali (Il tennis è uno sport per gentiluomini e non conta solo vincere ma come lo si fa) che emoziona e trascina anche chi non ha mai frequentato un campo da tennis. Perché, come dice la didascalia iniziale di Agassi (un altro campione che meriterebbe un film a parte) in una partita di tennis, più che con l’avversario, ci si confronta con la propria vita. Da non perdere.


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