Uno era introverso, glaciale,
superstizioso e potente; l’altro irascibile, sanguigno, affamato di gloria e
talentuoso. Una delle più grandi e spettacolari rivalità sportive, quella tra
lo svedese Björn Borg e l’americano John Mc Enroe rivive sullo schermo nel bel
film di Janus Metz, passato nella selezione ufficiale della Festa del cinema di
Roma e dal 9 novembre in sala. Sport poco frequentato dal cinema, il tennis si
prende la meritata rivincita attraverso l’avvincente ritratto di un duello
agonistico e mentale fra due uomini costretti a fare i conti coi demoni del
loro passato.
Ed ecco lo svedese di ghiaccio (Sembra un iceberg ma in realtà
nasconde un vulcano dirà il tennista Vitas Gerulaitis all’amico McEnroe) preso
da adolescente sotto l’ala protettiva del capitano di Coppa Davis, Lennart
Bergelin (l’ottimo Stellan Skarsgärd) che lo mette in riga incanalando la sua
esuberanza autodistruttiva e trasformandolo in una macchina priva di emozioni. A partire dall’esordio in Davis a 15 anni (il più giovane tennista di sempre ad
essere impiegato nella gara) arrivano il successo e la notorietà ma anche un
senso di soffocamento (Stanno pianificando la nostra vita gli rimprovera
Mariana, la compagna con la quale sta per sposarsi) e un’ansia da prestazione
(Tutti aspettano che perda) che genera mostri interiori e voglia di fuga (a 26
anni si ritirerà dopo essere stato spodestato da n.1 della classifica
mondiale).
Dall’altra parte della rete c’è un genietto dei numeri riccioluto e
impavido che sfoggia classe cristallina e volèe da urlo e vede nel rivale un
simbolo da abbattere. Ma forse dietro una delle più belle partite di sempre
della storia del tennis (la mitica finale sull’erba di Wimbledon del 1980 nella
quale Borg inseguiva il quinto titolo consecutivo) ci sono soltanto due facce
della stessa medaglia, come dimostra il bell’incontro tra i due in aeroporto il
giorno dopo il match. Ma l’indimenticabile partita occupa solo l’ultima parte
del film di Metz che invece si concentra giustamente sulle psicologie e
sull’incrocio di caratteri solo apparentemente agli antipodi. Con Borg (il
prodigioso Sverrir Gudnason, quasi un clone dello svedese) che si finge
elettricista in un bar londinese per gustare in solitudine un caffè e McEnroe
(Shia LaBeouf) che disegna sulle pareti della sua camera d’albergo il tabellone
del torneo che lo porterà ad affrontare il suo rivale.
Girato magnificamente
tra sequenze intime e potenti scambi di gioco (suggestive le riprese dei
servizi dall’alto con la steady cam), Borg McEnroe è anche una sfida tra
continenti e ceti sociali (Il tennis è uno sport per gentiluomini e non conta
solo vincere ma come lo si fa) che emoziona e trascina anche chi non ha mai
frequentato un campo da tennis. Perché, come dice la didascalia iniziale di
Agassi (un altro campione che meriterebbe un film a parte) in una partita di
tennis, più che con l’avversario, ci si confronta con la propria vita. Da non
perdere.