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lunedì 16 ottobre 2017
di Claudio Fontanini
RITORNO IN BORGOGNA
La vita in un bicchiere di vino
Un film sul vino per parlare di affetti e famiglia. Per la prima volta alle prese con una storia di ambientazione rurale Cédric Klapisch (Aria di famiglia, L’appartamento spagnolo, Rompicapo a New York) si immerge anima e corpi in filari e degustazioni alla cieca, trattori e memoria olfattiva in un viaggio che al ritmo del cambiamento delle stagioni, ci racconta come eravamo
Un film sul vino per parlare di affetti e famiglia. Per la prima volta alle prese con una storia di ambientazione rurale Cédric Klapisch (Aria di famiglia, L’appartamento spagnolo, Rompicapo a New York) si immerge anima e corpi in filari e degustazioni alla cieca, trattori e memoria olfattiva in un viaggio che al ritmo del cambiamento delle stagioni, ci racconta come eravamo e chi saremo. 
Dopo aver girato per dieci anni il mondo (negli ultimi 4 anni non ha dato notizie di se), Jean (l’ottimo Pio Marmaï) torna al grande vigneto di famiglia a Meursault in Borgogna.

C’è da assistere il padre morente e da allontanare la crisi con la sua compagna che in Australia gli ha dato un figlio. Ritroverà un fratello minore (François Civil) e una sorella (Ana Girardot) con la quale dover gestire nuove responsabilità e sopire vecchi rancori. 
La nuova vendemmia bussa alle porte e i soldi per le tasse di successione non si trovano. In più un testamento capestro obbliga i tre fratelli a decidere all’unanimità. Non si può vendere senza il consenso degli altri (la tenuta vale 6 milioni) e così tanto vale mettersi al lavoro insieme. Magari riscoprendosi uniti e pronti a trasmettere il senso della collettività e dell’impegno alle nuove generazioni. 

Tra ubriacature e chicchi d’uva d’assaggiare, abbracci di famiglia e lettere mai spedite, suoceri invadenti e acini schiacciati nelle botti, Ritorno in Borgogna mette in scena il ciclo delle stagioni e della vita in un curioso docufiction che segue in parallelo un anno di produzione vinicola e dieci anni di vita famigliare. 
Affettuoso e divertente (si ride coi dialoghi immaginari dei due fratelli che assistono ai discorsi degli altri da lontano), ben interpretato e capace di miscelare a dovere epoche diverse (bellissimo il dialogo con se stesso bambino alla finestra di Jean in sottofinale), il film di Klapisch acquista spessore e densità coi minuti.

Proprio come si assapora un buon bicchiere di vino.
Come quello che sorseggiano i tre fratelli alla morte del padre. Un sorso che contiene il tempo, lo sforzo e i pensieri della vita (“L’amore è come il vino: ci vuole tempo per fermentare”) in un brindisi che sa di trasmissione di cultura.   
Nelle sale dal 19 ottobre con distribuzione Officine Ubu    


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