Un uomo e una donna viaggiano in macchina verso casa. Lui ha un vistoso cerotto sulla nuca e dopo aver aperto la porta confessa di non riconoscere la moglie e di non ricordare nulla del suo passato. Inizia da qui un enigmatico corpo a corpo dialettico tra due solitudini che, come in un ambiguo gioco di specchi, tentano di mettere in ordine i tasselli di un matrimonio alla deriva. Tratto dall’omonimo best-seller del 2003 di Ѐric-Emmanuel Schmitt (edito in Italia da E/O), Piccoli crimini coniugali di Alex Infascelli è una sorta di thriller coniugale da camera (il terzo protagonista del film è l’appartamento labirintico, appartenuto in passato a Silvana Mangano) che strizza l’occhio a Carnage concentrando la guerra dei sessi sulla coppia Castellitto-Buy.
Tra flash emotivi e strane associazioni (l’uomo snocciola a memoria la tabellina del 7 e l’alfabeto greco), pillole e bicchieri di vino rosso, foto incorniciate e dediche a se stessi, accuse e rancori, sermoni cinici, dubbi amletici (e se quella amnesia temporanea fosse tutta una messa in scena?) e sogni ad occhi aperti (“Quello di ogni donna è riaddomesticare il proprio uomo dopo 20 anni di matrimonio” confessa la Buy), il film di Infascelli scarnifica sentimenti e stile cinematografico finendo dritto nelle grinfie del teatro filmato che per giunta ripresenta pure l’accoppiata psicologo-paziente del divano televisivo di “In Treatment”. Bravi e in sintonia i due attori, per carità, ma alla fine resta una sensazione di déjà-vu e di una coazione a ripetere che non giova all’andamento del prodotto.
Ci volevano più coraggio e ambiguità e invece la regia di Infascelli (a due anni da “S is for Stanley”, il bellissimo documentario sulla vita di Emilio D’Alessandro- l’autista personale di Kubrick- che gli è valso il David di Donatello per il miglior documentario e una nomination agli European Film Awards) si limita ad osservare come in un acquario due anime in pena e in fuga da se stessi. Non bastano così le belle musiche d’ambiente di David Nerattini e dello stesso Infascelli (c’è anche l’inserto di “I feel love” di Donna Summer in una scena chiave del film) a tener desta l’attenzione dello spettatore su questo dialogo terapeutico lungo 90’ e che dipinge alla fine la coppia come un’associazione di assassini che ha nella famiglia l’alibi supremo. Anche perché, come afferma Castellitto in sottofinale “amare è una fantasia che non appartiene alla nostra epoca”. Nelle sale 6 aprile ditribuito da Koch Media |