L’amore oltre le costrizioni, un sentimento che sboccia dietro le sbarre di un carcere minorile fra sguardi e lettere clandestine e che diventa un atto di ribellione contro regolamenti e punizioni. Dopo l’ottimo Alì ha gli occhi azzurri (Premio speciale della giuria al Festival di Roma 2012) Claudio Giovannesi prosegue sulla strada del realismo antropologico con questo Fiore appena sbocciato al Festival di Cannes alla Quinzaine des réalisateurs.
Sceneggiato dal regista romano con Filippo Gravino e Antonella Lattanzi dopo un accurato lavoro di documentazione (Giovannesi ha trascorso quattro mesi come insegnante volontario all’Istituto penale per i minori di Casal del Marmo di Roma) e ambientato in un vero carcere minorile (quello de L’Aquila, ristrutturato dopo il terremoto e non ancora in funzione), Fiore mette in scena, o meglio in vita - vista l’autenticità e la credibilità di situazioni e passioni -, il percorso umano di una diciassettenne (in realtà la prodigiosa esordiente Daphne Scoccia, un concentrato di femminilità repressa, ha 21 anni ed è stata scoperta per caso da Giovannesi mentre serviva ai tavoli di un ristorante) alle prese con la scoperta dell’amore proprio nel posto dove quel sentimento è negato.
In carcere per rapina e con una famiglia assente (della madre non sappiamo nulla mentre il padre, il sempre più bravo Valerio Mastandrea, è appena uscito di prigione dopo 7 anni ed ora frequenta una rumena con figlio a carico) quella ragazzina dall’aria da dura, che ruba cellulari e poi compra biscotti e patatine al supermercato, finisce in isolamento dove incrocerà lo sguardo furtivo di un diciottenne (Josh Algeri) segregato nell’ala maschile e che l’aiuterà a sopravvivere in quell’inferno di rinunce e sottomissioni.
E’ possibile preservare la grazia e l’innocenza pur essendo colpevoli di fronte alla legge? Tra secchiate d’acqua in faccia e coperte bruciate, calci ad un pallone e affidamenti in prova (con Mastandrea che prima acconsente a riprendersi la figlia per un anno nella nuova famiglia allargata ma poi si tira indietro), tatuaggi che parlano e funzioni promiscue (la messa è l’unica occasione nella quale uomini e donne possono coabitare), carezze immaginarie e lettori mp3 che danno ossigeno e speranza (toccante la Sally di Vasco Rossi ascoltata in cuffia a testa bassa), il film di Giovannesi scansa accuratamente ricatti emotivi ed enfasi programmata per concentrarsi sulla conquista e il diritto di un sentimento con stile quasi documentaristico (non a caso i nomi degli attori non professionisti coincidono con quelli dei protagonisti e per Josh ci sono alle spalle due anni reali di detenzione).
Ed ecco i primi piani insistiti e asfissianti alla Dardenne che sembrano far uscire dalla macchina da presa i sospiri, i palpiti e i segreti di un’adolescente che sogna una vacanza a Ibiza ma che in fondo si accontenterebbe di una fuga in treno verso Rimini. Peccato soltanto per un finale un po’ troppo programmatico e incosciente oltre la soglia della credibilità. Come se Giovannesi volesse sottolineare, inutilmente, la forza di un atto di ribellione contro chi attenta al diritto di essere una persona e non un numero. Nelle sale dal 25 maggio a Roma e Milano, e dal 1 giugno nel resto d’Italia. Distribuzione Bim
|