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giovedì 28 aprile 2016
di José de Arcangelo
LA MEMORIA DELL’ACQUA
Splendido docufilm premiato a Berlino che spazia tra storia e scienza, narrandoci la storia del Cile
Il regista cileno Patricio Guzman si ispira alla “Memoria dell’acqua” per parlare di vita e di morte, del Cile e della violenza, di genocidio vecchio e nuovo, e lo fa con un tono ora affettuoso ora dolente, fondendo bellezza e poesia, cosmo e Terra, passato e presente. Nemmeno un’ora e mezza (82’) di spettacolo delle emozioni, in un riuscito ‘montaggio delle attrazioni’,
Il regista cileno Patricio Guzman si ispira alla “Memoria dell’acqua” per parlare di vita e di morte, del Cile e della violenza, di genocidio vecchio e nuovo, e lo fa con un tono ora affettuoso ora dolente, fondendo bellezza e poesia, cosmo e Terra, passato e presente.
Nemmeno un’ora e mezza (82’) di spettacolo delle emozioni, in un riuscito ‘montaggio delle attrazioni’, come solo il vero cinema sa offrire. Un documentario vicino al capolavoro che ha conquistato l’Orso d’Argento per la Miglior Sceneggiatura al 65° Festival di Berlino e il Best Film Unipol Award Biografilm Festival 2015.

Un eccezionale documentario, in realtà un vero e proprio film, che parte da “El boton de nacar” (Il bottone di madreperla, titolo originale), da quello incastonato in un pezzo di quarzo, forse appartenuto all’indigeno ribattezzato dagli inglesi Jeremy ‘Button’ e strappato dalla sua terra-acqua a quello incrostato nella ruggine di una rotaia in fondo al mare, prova dell’efferata fine dei ‘desaparecidos’ di Villa Grimaldi a Santiago, durante la dittatura di Pinochet.
Ma l’acqua, un fiume che scorre e il tintinnio delle cascate offrono la musica dell’acqua alla base della cultura dei Selknams, popolazione nativa della Patagonia cilena trucidata dai colonizzatori.

Due massacri, e la memoria dell’acqua: sono le chiavi narrative per raccontare la storia di un Paese e delle sue ferite ancora aperte (e non dimenticare), e percorrere l’estremo sud del Cile e la sua bellezza, il Cile e la sua violenza, appunto.
Però Guzman ne fa una sorta di ricerca geografica, scientifica e storica avvalendosi anche di testimoni speciali, dagli ultimi indigeni sopravvissuti a poeti, artisti, storici, scienziati, piloti. Infatti, dichiara nelle note di regia: “L’acqua non è appannaggio esclusivo dei terrestri, ma è un elemento comune in tutto il sistema solare. La si trova sotto forma di vapore sui pianeti Giove e Saturno, sotto forma di ghiaccio su Marte, sulla Luna, e sui satelliti Europa e Titano".

"Al di là del sistema solare, l’acqua è presente in grandi quantità anche in altri corpi celesti. Nel 2010, l’osservatorio astronomico cileno ‘La Sillaha individuato alcune stelle orbitanti intorno al pianeta Gliese, nella costellazione della Bilancia, a 20 anni luce dalla Terra, che potrebbero contenere acqua allo stato liquido. Attualmente nessuno può negare la possibile esistenza di un arcipelago come la Patagonia lassù”.
E l’acqua era, appunto, il centro dell’esistenza degli indios della cosiddetta Patagonia occidentale, il più grande arcipelago esistente al mondo: secondo le stime, l’infinità di isole, isolotti, scoglie fiordi che lo compongono si stende per oltre 74mila km di costa (l’Oceano Pacifico).

Una regione ancora in parte inesplorata che comprende l’estremo sud del continente americano e inizia dal golgo di Penas fino ad arrivare all’Isola degli Stati (il punto più meridionale del Sudamerica).
Un labirinto così immenso d’acqua – afferma il regista - ci riporta alle origini acquatiche dell’umanità. Secondo lo scienziato tedesco Theodor Schwenk, l’orecchio interno è un mollusco con il guscio a chioccia, il cuore è il punto d’incontro di due correnti sotterranee, e alcune ossa del nostro corpo sono a forma di spirale, come un vortice d’acqua”.

Infine, l’autore riprende la storia  degli antichi abitanti e lo citando ancora Schwenk: “…l’atto di pensare somiglia all’acqua per la sua capacità di adattarsi a ogni cosa. La legge del pensiero è la stessa che governa l’acqua, sempre pronta ad adattarsi a ogni circostanza”. E poi aggiunge: “Forse questo spiega come un gruppo di uomini sia riuscito a vivere in quel posto per diecimila anni, isolato ed esposto a temperature polari, con venti di 124 miglia orarie. Si pensa che ci fossero ottomila abitanti nel 18° secolo. Adesso, il numero dei discendenti diretti sopravvissuti si aggira intorno a venti”.

Nelle sale italiane dal 28 aprile distribuito da I Wonder Pictures – UnipolBiografilm Collection – Fil Rouge media

CURIOSITA’
A proposito del commento del film, che nell’originale fa lui stesso, Guzman ha confessato al collega Frederick Wiseman: “Quando in fase di montaggio sto ultimando una sequenza di due o tre minuti, creo immediatamente la voce narrante e la scrivo su un foglio. Butto giù quattro o cinque frasi e poi le incido subito sull’immagine, perciò la voce è improvvisata anche se è sempre indiretta, solo raramente è informativa".

"Dopodiché la considero finita e non ci ritorno più sopra, passo alla sequenza successiva. C’è una specie di intuizione nella storia che voglio raccontare, che esiste già dentro di me. Descrivere ciò che ho tenuto dentro di me così a lungo sembra facile”.
Peccato che nella versione italiana la sua voce sia stata doppiata, anziché sottotitolata, anche quando il film non perde potenza ma ne perde in spontaneità.


Links correlati
http://www.Iwonderpictures.it

 
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