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giovedì 28 gennaio 2016
di José de Arcangelo
Point Break
Delude il remake del film della Bigelow del ’91:Ericson Core firma un action thriller senz’anima
Chi ha visto e amato l’omonima opera terza di Kathryn Bigelow (dopo i sorprendenti “Il buio si avvicina” e “Blue Steel - Bersaglio mortale”) verrà deluso. Perché il remake di Point Break, diretto da Ericson Core e sceneggiato da Kurt Wimmer (“Salt” e “Giustizia privata”), che ha adattato il soggetto di W. Peter Iliff e Rick King, è un action thriller – purtroppo – senz’anima, tutto azione ed effetti speciali, nonostante la partecipazione dei migliori, veri, atleti (surf su onde giganti, wingsuit flying, snowboard, free climbing e motor cycling ad alta velocità e senza nessuna sicurezza) e stunt in circolazione.

E anche gli attori che sostituiscono i due mitici protagonisti (Patrick Swayze e Keanu Reeves), se hanno il fisico del ruolo non possiedono né il fascino né il carisma dei precedenti.
Johnny Utah (Luke Bracey, da “November Man” e “Il meglio di me” all’imminente “Hacksaw Ridge” di Mel Gibson), appena arruolato come agente dell’Fbi, è costretto ad infiltrarsi in un gruppo itineranti di atleti di sport estremi amanti del brivido, capeggiati dal carismatico Bodhi (Edgar Ramirez, da “Carlos” a “Joy” passando per “La furia dei Titani”), sospettati di crimini perpetrati in maniera inusuale e presunti terroristici ecologici, moderni Robin Hood.

Sotto copertura, costantemente esposto a grandi pericoli per mantenere il suo posto nel gruppo, Utah dovrà scoprire se è veramente lui la mente che si nasconde dietro questa serie di azioni criminali apparentemente non collegate tra loro.
Peccato che i personaggi siano delle figure senza spessore e le situazioni superficiali e convenzionali, tanto che dell’originale restano la struttura, la prima rapina, la sorta di gara di surf con cui il giovane agente, salvato da Bodhi, verrà accettato nel gruppo, e in parte il loro rapporto.

Un po’ poco per far dimenticare il coinvolgente, teso e frenetico, anzi duro e crudo capostipite, come tutti i film della Bigelow, la prima autrice a vincere due Oscar insieme per il film e per la regia con “The Hurt Locker”.
Infatti è lo stesso Core a dire: “Il primo Point Break è stato un capolavoro, ha ispirato intere generazioni. Tutti l’abbiamo amato e ne siamo stati influenzati. Volevamo usare l’ispirazione della versione originale per poi realizzare sullo schermo la nostra visione di Point Break, creando un progetto di scala globale e coinvolgendo nell’azione i migliori atleti del mondo di sport estremi”.

Però non ci sono riusciti, anche con la aggiunta del pretestuoso sottofondo filosofico, legato alla missione ‘superiore’ del gruppo, “a caccia dell’Otto” ovvero le Otto prove di Ono Ozaki: 1. Forza emergente; 2. Origine del Cielo; 3 Risveglio della Terra; 4 Vita dell’Acqua; 5. Vita del Vento; 6. Vita del Ghiaccio; 7. Padrone delle Sei Vite; 8. Atto di Fede Estrema.
Molte delle domande filosofiche che si pone Bodhi – prosegue il regista – meritano un approfondimento (ma il film non lo fa ndr.), come la sua idea di essere davvero liberi e vivere secondo il proprio codice personale; quindi anche noi abbiamo mantenuto questi concetti nella storia”. E restano, infatti, solo concetti. Peccato.

Nel cast anche Teresa Palmer (Samsara), da “Warm Bodies” e “Sono il numero quattro”; Delroy Lindo (istruttore dell’Fbi), da “Crooklyn” e “Malcolm X” a “Battlecreek” di prossima uscita; il Ray Winstone (Pappas), da quarant’anni nel cinema, da “Ladybird, Ladybird” e “Sexy Beast – L’ultimo colpo della bestia” a “The Gunman”; e gli atleti Bob Burnquist, Xavier de le Rue (snowboarder), Jeb Corliss (base jumping e wingsuit), Jon Devore (paracadutista e cameramen, base jumping e wingsuit), Johnathan Florez (Base Jumping, paracadutista e wingsuit), Laird Hamilton (surfer), Dylan Longbottom (surfer), Iouri Podladtchikov (snowboarder), Chris Sharma (free ckunber), Laurence ‘Laurie’ Towner (surfer), Ian Walsh (surfer di onde giganti).

L’unica nota di merito va alla cornice firmata dal direttore della fotografia, che è lo stesso Core, segno che doveva continuare a fare il primo mestiere perché non bastano scenari mozzafiato (dal Messico a Mumbai, dall’America al Congo, dal Venezuela alle Alpi italiane) e le azioni spericolate a fare un buon film; dallo scenografo Udo Kramer e dalla costumista Lisy Christl.
Nelle sale italiane dal 28 gennaio distribuito da Eagle Pictures

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http://www.eaglepictures.com

 
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