Non un biopic ma un thriller sportivo nel quale il colpevole si chiama doping. In “The program” Stephen Frears mette in scena l’ascesa e la caduta del ciclista Lance Armstrong, vincitore di sette Tour de France consecutivi dopo aver sconfitto un cancro ai testicoli e aver confessato in tv a Oprah Winfrey di aver fatto uso di Epo. “Vinci col cuore, non col fisico”
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“Vinci col cuore, non col fisico” dice la voce fuori campo di Ben Foster- che impersona sullo schermo il ciclista americano- ad inizio film e il suo sembra l’inizio di una bella favola nella quale il premio finale è la vittoria ad ogni costo. Etica e sponsor, globuli rossi aumentati nel sangue e un team di alleati pronto a coprire segreti e menzogne, un’odissea di dolore e resistenza- quella che dovrebbe essere una gara ciclistica- trasformata in una colossale recita destinata ad uccidere i valori di uno sport. Perché essere primo, vincere con ogni mezzo è i traguardo di un personaggio bivalente, pronto al doping ematico eppure capace di destinare oltre mezzo miliardo di dollari alla lotta al cancro attraverso la sua associazione benefica.
Con quell’articolato programma illegale, ideato da un medico italiano- il dott.Ferrari- e basato sull’uso dei farmaci illegali per migliorare le prestazioni, che diventa una gabbia morale nella quale rinchiudere l’illusione della competizione pulita. Test, analisi, allenamenti e braccia alzate al cielo sotto i traguardi in un’escalation di menzogne alle quali metterà fine un giornalista sportivo, David Walsh (Chris O’Dowd) che coi suoi articoli sbatterà il mostro in prima pagina dopo essersi scrollato di dosso l’omertà e gli interessi economici dell’intera comunità ciclistica.
Istinto di sopravvivenza e gregari a caccia di gloria, vampiri in camice bianco (i medici della federazione internazionale del controllo antidoping che bussano al pullman di Armstrong) e assicurazioni restie a pagare (cameo di Dustin Hoffman), telefonate anonime che vuotano il sacco e maschere da indossare (“Gli dico quello che vogliono sentire” dice il ciclista mentre fa visita ai malati di cancro), aghi di siringa dentro le scarpe e fisiologie alterate in un film documentato e un po’ didascalico che miscela sapientemente immagini di repertorio e girato dal vero. Un film di servizio per l’autore di The Queen e Philomena che s’è detto ispirato da una recensione di The secret race, il libro autobiografico di Tyler Hamilton, un compagno di squadra di Armstrong, e ha poi attinto a piene mani da Seven deadly sins (pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer) scritto dal cronista del Sunday Times che si è battuto per la verità.
Nelle sale dall’8 ottobre distribuito da VIDEA
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