Un saggio sulle leggi del desiderio e sulle ragioni dell’amore che mette in scena- attraverso il progressivo e inesorabile avvicinamento di due personaggi apparentemente agli antipodi- il mistero della conoscenza e la forza travolgente della passione. Aperto da una citazione di Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, Sarà il mio tipo? (Pas son genre) di Lucas Belvaux è una magnifica commedia romantico-filosofica che intreccia vita vissuta ed ideali finendo per diventare una delle più belle storie d’amore viste sullo schermo da molti anni a questa parte.
Merito di uno script dettagliato e carico di significati (sceneggiatura, dialoghi e adattamento sono curati dallo stesso regista e tratti dall’omonimo romanzo di Philippe Vilain edito in Italia da Gremese), di uno stile ricercato che intreccia a meraviglia raffinatezze visive e sentimenti autentici e, soprattutto, di una meravigliosa coppia di attori in stato di grazia. Costretto a trasferirsi per lavoro dalla capitale ad Arras, piccolo centro a un’ora e mezza da Parigi, Clement (Loïc Corbery) è un giovane e affascinante professore di filosofia che non possiede la tv, legge Kant e Proust, ha appena pubblicato Dell’amore e del caso e non crede alla coppia perché ‘l’amore non deve diventare una prigione’. Appena lasciato dalla sua fidanzata eccolo come un pesce fuor d’acqua in quella tranquilla cittadina dove un taglio di capelli può cambiarti la vita.
Con le forbici in mano c’è infatti Jennifer (una magnetica e superba Emilie Dequenne, premio per la migliore interpretazione femminile a Cannes nel 1999 con Rosetta dei Dardenne, il suo esordio davanti alla macchina da presa) attraente ed esuberante parrucchiera per vocazione (“Cambiare il volto delle persone può cambiargli la vita”) con figlio a carico, che sa tutto di gossip e trascorre le sue serate esibendosi al karaoke con le sue colleghe di lavoro. Cuori e corpi sono liberi ma è possibile conciliare cultura alta e popolare, testa ed eros? Lei sogna, lui dubita, il caso e il destino ci mettono lo zampino e così tra quell’uomo che parla di sensibilità empirica e giudizi estetici e quella donna che prova a leggere l’Idiota di Dostoevskij solo per amore e rimane delusa dalla concisione di Steinbeck (“Si è sprecato, ha scritto solo 200 pagine … preferisco i libri grossi!”) prende l’avvio una relazione che apre le menti e allarga gli orizzonti.
Perché la scrittura e l’acconciatura sono un po’ la stessa cosa e in fondo si tratta solo di mettere in ordine: una massa di idee o di capelli. Durerà? Finale, a sorpresa, da non rivelare dopo momenti di autentica commozione. Manipolazioni e paura d’amare, fascino e lezioni di autonomia (“E’ importante essere coscienti di quello che si fa, essere sempre svegli: la filosofia è una liberazione” dice Clement ai suoi allievi), dipendenze indotte, folklore e felicità a tempo in un film che non giudica mai i suoi personaggi e li fa vivere ai confini dell’inconscio in una proiezione mentale che diventa stato di grazia. Da non perdere. Vengono a brividi a pensare a un film del genere fatto in Italia. Chi avrebbe potuto dirigerlo e interpretarlo con tanta grazia e autenticità? La certificazione della nostra crisi d’ispirazione.
Nelle sale dal 16 aprile distribuito da SATINE FILM
|