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giovedì 26 marzo 2015
di José de Arcangelo
La terra dei santi
Dall’autrice de I cento passi un film sulla’ndrangheta vista con gli occhi delle donne mogli e madri
La Calabria vista dall’interno, anzi dalle donne, siano mogli-madri della ‘ndrangheta sia dal magistrato, un giudice donna venuta dal Nord. La terra dei santi è un dramma sulla criminalità organizzata, quindi, ma vista dal punto di vista delle donne, vittime e carnefici, sottomesse o ribelli.
Scritta dal regista Fernando Muraca con la sceneggiatrice e scrittrice Monica Zapelli, già autrice del copione de I cento passi e dell’adattamento del soggetto del film, nel libro Il cielo a metà (Baldini&Castoldi), l’opera prima racconta particolari anche inediti, emozioni e sentimenti repressi, verità e segreti.

Vittoria Deodato (Valeria Solarino) ha lasciato il Nord per iniziare la carriera di magistrato a Lamezia Terme con l’unica missione di sconfiggere la ‘ndrangheta. Assunta (sorprendente Antonia Daniela Marra), invece, nella ‘ndranghetta è costretta a restare, anche se le hanno ucciso il marito ed è obbligata a sposare il fratello, Nando (Francesco Colella) e a badare a due figli. L’aiuta ad accettare le nozze forzate la sorella maggiore Caterina (un’intensa Lorenza Indovina), che controlla gli ‘affari’ di famiglia mentre il marito, il boss Alfredo Raso (Tommaso Ragno), è latitante.
Piegarsi al volere di Alfredo e, in fondo, a quello della sorella, è l’unico modo che Assunta ha per proteggere i suoi figli: il piccolo Franceschino e l’adolescente Giuseppe, che ha già la stoffa del capo ed è molto apprezzato dal capo Alfredo.

“Essendo nato a Lamezia Terme conosco molto bene questa realtà – afferma il regista -, l’ho vissuta nell’infanzia e nell’adolescenza sulla mia pelle, chiedendomi come sarebbe andata a finire con la ‘ndrangheta, perché una donna calabrese decide di offrirle i figli sapendo che pagheranno con la vita o la passeranno in galera? Non ho trovato risposte, perché loro non se le fanno a livello conscio. Poi ho incontrato Monica, il suo lavoro d’impegno e ricerca mi ha colpito di più, e abbiamo deciso di ragionare insieme per farne un film attraverso il punto di vista delle donne. Studiando il fenomeno, Monica aveva scoperto una cosa importante: il discorso sulla responsabilità genitoriale. E mi dissePerché non partiamo da qui, l’anello per raccontarla è il fondamento antropologico”.

Se il film è convenzionale nella forma e nella narrazione, è originale nell’approccio e lucido nei contenuti, svelando alcuni particolari poco conosciuti, dato che al contrario della mafia e della camorra, la ‘ndrangheta come organizzazione è ancora più arcaica, chiusa e, forse, più feroce e crudele con chi decide di ‘allontanarsi o pentirsi’.
Come sceneggiatrice – dichiara la Zapelli - ogni volta che ci viene proposta una storia sulla criminalità organizzata bisogna darle una dimensione da cronaca televisiva, ma il cinema è diverso, deve avere qualcosa che la tivù non può permettersi di avere, una dimensione universale. Ne I cento passi, era il romanzo formazione sul commettere un parricidio, il distacco nei confronti della figura paterna, e mi sono messa lo stesso problema per affrontare lo ‘scandalo’ delle madri di mafia, in un’epoca di impunità infinita dove la ‘ndrangheta vince come sistema, e i figli sono condannati al carcere o alla morte. Lo spunto è stato il provvedimento della procura di Reggio Calabria che, nel processo De Stefano del 2008, toglieva la tutela dei figli minori ai boss. La questione è di chi sono i figli? Dei genitori? O dipende dallo Stato, che ha il diritto di intervenire in questi casi, al di là delle sue competenze?"

"Ma non è solo un diritto ma un passo in più nella lotta alla ‘ndrangheta. Il film non offre risposte, lascia la possibilità di giudicare a chi lo vede. Da allora, la procura è andata avanti, 25 ragazzi sono oggi in comunità famiglia, o affidati a famiglie, in fase adulta saranno liberi di scegliere perché cresciuti in scenari di vita alternativi”.
Sul rito d’iniziazione, su cui si sa molto poco, l’autore ci confida: “Non avviene proprio così come nel film, ma c’è un motivo, il testo è noto a tutti perché ritrovato dalla polizia in diversi covi, però ci sono piccole differenze. Il contesto è molto più squallido, ma volevo far capire bene che si tratta di un rito religioso (ha messo tante candele come in chiesa ndr.) in cui ci sono elementi simbolici. Il senso della vicenda è che l’uomo nasce col libero arbitrio, ma una volta uscito da questa cerimonia l’ha perduto per sempre".

"Nella
‘ndrangheta non ci sono quasi pentiti perché un parente stretto e importante dell’iniziato giura e garantisce con la propria vita - come ha fatto prima di lui la generazione precedente -, anzi dicendo una cosa terribile: garantisce col suo stesso sangue, cioè anche con i suoi figli. Bisogna analizzare con attenzione le cose, ci sono state delle donne che hanno deciso di parlare, Monica ha scoperto che sono state sciolte nell’acido o costrette a berlo”.
A proposito del titolo, chiarisce che ha scoperto che la Calabria è costellata di monasteri ortodossi, quelli che un tempo ospitavano dei monaci che si spostavano da uno all’altro. Cambiando spesso luogo, questi monaci erano una specie di messaggeri culturali, che diffondevano, soprattutto, i comandamenti non uccidere e non rubare, ma quando l’ortodossia è finita, la regione è precipitata in un  totale isolamento. E in Grecia la Regione è considerata ‘la terra dei santi’ calabresi, e sono ancora tanti quelli venerati.

Oggi, invece, ci sono i ‘santisti’, quelli della massoneria e della ‘ndrangheta, il titolo è una sfida di speranza per ricongiungerla con la tradizione”.
Nell’efficace cast, tra cui spiccano Indovina e Marra, un po’ meno la Solarino, anche Ninnì Bruschetta (l’ispettore Domenico Mercuri), Claudio Spadaro (Antonio Lorusso), Giuseppe Vitale (avvocato Caterina), il piccolo Mattia Salcuni (Franceschino) e Anna Ciociola Terio (psicologa).
La fotografia - che ricrea le atmosfere cupe, tra grigio e nero, spesso notturne - è di Federico Annicchiarico e le musiche originali sono di Valerio Vigliar.
In Calabria il film verrà proiettato nei cinema di Soverato e Trevisaccia, e nelle scuole della Regione, mentre a Torino è stato proposto il 25 mattina, in occasione della Giornata nazionale contro morti di tutte le mafie.

Nelle sale dal 26 marzo distribuito da Asap Cinema Network

 
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Foto dall’Ufficio Stampa

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