Dal carcere di Cesare deve morire (Orso d’Oro a Berlino 2012) alla campagna fiorentina del trecento di Maraviglioso Boccaccio per scoprire, ancora una volta, l’effetto balsamico dell’arte come medicina ad ogni tipo di sofferenza e desolazione, materiale e morale. Dalla messinscena shakespeariana di un gruppo di detenuti alla didattica boccaccesca del Decamerone in cinque novelle che parlano la lingua di ogni epoca attraverso un unico, grande protagonista:l’amore. Ed ecco sette fanciulle e tre ragazzi sfuggire al contagio e al lutto della pestilenza del 1348 e rifugiarsi in una villa in collina per provare a riassaporare la vita attraverso il piacere del racconto e della parola.
Dagli orrori del castigo divino rappresentati nell’introduzione che ammucchia cadaveri e miserie, alle nuove regole di vita (per la verità descritte in modo assai sommario dai Taviani) di un gruppo di giovani che impiegano il tempo a novellare e fantasticare sui sentimenti. Vizi e virtù, passioni terrene e capricci della sorte, burle ed arguzie fra miracolose rinascite e cuori di amanti serviti in coppa alle figlie dai padri, innamorati spiantati con falconi al braccio, sciocchi che credono di essere diventati invisibili e badesse che nascondono segreti da condividere. Una folla variopinta che però sullo schermo sembra non prendere corpo, raffreddata dallo stile classico dei Taviani (inquadrature fisse e statiche) che non riescono a sintetizzare e tradurre il mix di spirito e carne, fede e peccato del libro scritto tra il 1349 e il ’53.
Un film sostanzialmente ‘al femminile’ (odori floreali che allontanano la morte, rondini capricciose, cestini di fragole e bagni al lago…) e che rinuncia al commento dell’uditorio che qui si limita a qualche battibecco sul finale delle storie raccontate a vicenda dalle giovani. Danze, canti, banchetti e conversazioni sono assenti e a prevalere sono le pene d’amore di donne infelici e segnate dal lutto. Quasi una coazione a ripetere dalla quale ben presto ci si sente un poco soffocati e così l’episodio più felice, a contrasto, è quello del Calandrino di Kim Rossi Stuart in cerca della pietra elitropia dai poteri magici.
Il resto sono facce più che anime e attori più che personaggi; con un cast assai eterogeneo e non sempre all’altezza (ottima Jasmine Trinca, deludente Scamarcio e fuori contesto la Cortellesi) e qualche dialogo sporcato da incredibili (per l’epoca) volgarità (sceneggiatura firmata dai Taviani). Il Boccaccio sarà stato pure un compaesano degli autori de La notte di San Lorenzo ma l’incontro artistico con Pirandello (Kaos dell’84) aveva dato ben altri frutti. Nelle sale dal 26 febbraio distribuito da TEODORA
|