L’unico film italiano in concorso al 67° Festival Internazionale del Film di Locarno, è l’opera prima di Bonifacio Angius – con alle spalle tre corti e un medio metraggio -, dramma esistenziale contemporaneo incentrato su solitudine e disagio, inadeguatezza e incertezza, amore (sognato) e disaffezione, violenza e perfidia, appunto. Un film complesso e inquietante che narra la storia di Angelo (Stefano Deffenu) che si trascina immerso nel grigio inverno di un’anonima città di provincia (è ambientato a Sassari, in Sardegna, origine dell’autore e degli attori, ma potrebbe essere ovunque). Senza amore né lavoro passa le sue vuote giornate in uno squallido bar di periferia, sognando ad occhi aperti la più banale normalità.
Peppino (Mario Olivieri) è un padre che non si è mai interessato al figlio, un vecchio consapevole di non avere più tanto tempo da vivere. Ma dopo la morte della moglie, l’uomo si accorge di suo figlio e scopre di non sapere neppure chi sia. Storia di un avvicinamento tardivo, quando padre e figlio si ritrovano a fare i conti con un mondo ormai senza pietà né speranza, dove non esistono i buoni e non ci sono i cattivi, dove regna la mediocrità in tutti i sensi, anche morale e spirituale. Un dramma senza via d’uscita, un ritratto disperato e angosciante di vite perdute nel grande quadro di una società che ormai non offre più ragioni di vita degna di questo nome.
Da un soggetto dello stesso regista e da una sceneggiatura (Premio Solinas) scritta con Fabio Bonfanti e Maria Accardi Perfidia è un film d’autore doc che poco concede allo spettacolo per indagare nei meandri della mente umana, quando essa si trova prigioniera tra incertezza e disillusione, tra vita e incubo, soprattutto nel nostro mondo contemporaneo. Ha detto l’autore: “Tenerezza, rabbia, cinismo, fragilità, violenza a volte inconsapevole, nascosta, velata. Sono queste le parole che mi vengono in mente quando penso a Perfidia, un film nato da diverse suggestioni, alcune molto personali”.
“E’ un film profondamente legato al tempo in cui viviamo – aggiunge -, un film che nasce da ricordi, da situazioni vissute e immaginate, da me stesso e da persone che ho conosciuto. Persone fragili, invisibili, incapaci di desiderare qualcosa di meglio, ma al tempo stesso capaci di commettere atti incoscienti, così, senza un apparente motivazione razionale o un significato univoco, senza averne una reale consapevolezza. L’unica spiegazione che si può dare alle loro azioni è già lì, nella loro vita, nel loro vuoto culturale, nella mancanza di aspirazioni, di passioni, di amori”.
Fatti e persone di cui è piena la cronaca di questi anni, ma non solo. Violenza esplosa all’improvviso, spesso senza ragione apparente, a volte contro se stessi, altre contro persone che nemmeno conoscono (o conosciamo), frutto di un disagio e un’insoddisfazione esistenziale che pian piano divora l’anima. Gli altri attori: Noemi Medas (la ragazza), Alessandro Gazale (Danilo), Andrea Carboni (Fabio) e Domenico Montixi (Domenico). Il direttore della fotografia, ovviamente cupa, spesso notturna è Pau Castejòn Ubeda e l’autore delle musiche Carlo Doneddu. Nelle sale dal 27 novembre (Roma e Milano), a gennaio 2015 in tutt’Italia MONELLO FILM
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